Ticino
Giubiasco: "Un filo sottile tra follia e premeditazione"
Giubiasco: "Un filo sottile tra follia e premeditazione"
Giubiasco: "Un filo sottile tra follia e premeditazione"
Redazione
4 anni fa
Il criminologo Franco Posa spiega le dinamiche in gioco in un delitto come quello di Giubiasco. E forse anche il covid potrebbe aver avuto un influsso

Molte domande sono sorte dopo il terribile delitto occorso ieri a Giubiasco, in cui un agente di Polizia in pensione ha ucciso la sua ex-compagna e il nuovo compagno di lei, prima di togliersi la vita. Teleticino ha intervistato Franco Posa, criminologo, per cercare di fare chiarezza sulla questione.

Cosa scatta nella mente di una persona che compie un atto simile. Si tratta di premeditazione o di un vero e proprio raptus? “Spesso è un progetto ben premeditato che lievita nel tempo e a un certo punto ha un momento esplosivo. Dalle notizie che ho ritengo ci sia davvero una coerente premeditazione con l’esplosione impellente di una rabbia ingestibile il cui risultato è quanto accaduto. Poi c’è il passaggio drammatico dall’omicidio al suicidio, ovvero l’incapacità di poter tollerare la disperazione di non poter realizzare la coppia che era. Questo è il motivo per cui a Giubiasco le vittime sono state tre. Ogni caso è a sé, ma siamo anche in un’epoca particolare, dove l’isolamento non è certamente favorevole a questa situazione. Non diamo tutta la colpa al covid, però rielaborare questa situazione e soprattutto non avere la possibilità di un controllo sulla persona, diventa qualcosa di ingestibile, che aggiunge elementi alla dinamica.

La domanda è quindi: vista la premeditazione, è impossibile prevenire o cogliere qualche segnale di un episodio del genere? “È possibile se le circostanze lo permettono. Bisogna comprendere il vissuto del soggetto precedentemente a questa situazione drammatica. La criminodinamica e la scena del crimine sono elementi indispensabili. Ma c’è anche un’altra tecnica: l’autopsia psicologica, ovvero cercare cosa era successo nella storia più o meno recente del soggetto prima dell’avvenimento. Ovvero ricostruire se c’erano elementi che potevano essere colti per innescare tutti i meccanismi utili alla rivalutazione del caso e alla limitazione di eventi così drammatici. Lavoriamo ovviamente quando il tutto è già accaduto, per avere un’esperienza nuova che potrà servirci in futuro a sempre meglio verificare gli allarmi che precedono queste situazioni, che spesso restano confinate tra le mura di case. Nel caso che stiamo discutendo il tutto si rifà a quella che si chiama iperestesia della gelosia: ovvero il vissuto continuo, che a volte diventa ossessione per tutti gli elementi di gelosia, al di là della gelosia amorosa. Diventa gelosia per ogni elemento che faceva parte della propria vita: “qualcuno mi ha rubato la condivisione con la persona al quale io avevo dato il mio amore assoluto”. Si chiama sindrome di Mairet, molto presente in letteratura. Ripeto, non diamo tutte le colpe al Covid ma ogni pensiero, ogni rielaborazione è rimasta chiusa tra quattro mura, non per volontà del soggetto ma per via della maggiore reclusione di questo periodo. Un altro elemento è il pensionamento: un altro distacco, un altro vissuto potenzialmente luttuoso. Tutti questi elementi potrebbero spiegare le motivazioni di quanto accaduto, offrendo molti spunti interessanti dal punto di vista scientifico”.

Spesso si dice “ha perso la testa”, ma lei ha parlato di premeditazione. È un filo sottile quello su cui si sta camminando? “Molto sottile, tanto è vero che si aggiunge spesso o diventa fatto scatenante il raptus finale: quell’esplosione violenta e ingestibile che subentra nel momento in cui, compiuto l’atto, la persona non è in grado di sopportare la disperazione, per cui sopprime la sua stessa vita. In primis perché la persona amata non esiste più, ma anche proprio perché non sa gestire la disperazione immediata causata dall’atto”.

Quindi i cambiamenti della vita di quest’uomo potrebbero aver accelerato un pensiero che era già in atto?“Sì. Il risultato è un’incapacità a gestire un’impulsività tale da sparare dei colpi con la propria arma e a finire la propria vita per non sopportare quanto accaduto. L’incapacità di gestire gli eventi, di gestire la rabbia è abbastanza comune in questi fatti così importanti. Non stupisce dal punto di vista criminologico l’evoluzione dei fatti, la tempistica, il modus operandi e la criminodinamica. Bisogna capire se c’era la possibilità di tendere la mano a qualche grido d’aiuto che non è stato accolto, questo lo si fa con un’attività diversa che può sembrare non sensata ma che è un modo per crescere e dare linee guida sempre migliori per cogliere questi elementi di pericolo in persone soggette a una “fragilità amorosa” e a una difficoltà nel gestire l’impulsività. Si passa dalla “luna di miele” iniziale, dove gli ormoni sono tutti a nostro favore, a una situazione opposta dove gli ormoni sono invece tutti a nostro sfavore”

Il fatto di avere un’arma a disposizione, come nel caso di Giubiasco semplifica il piano? “I mezzi delittuosi sono sempre molto diversi l’uno dall’altro. In questo caso l’avere l’arma è stata certamente favorevole per organizzare velocemente la dinamica. Ma abbiamo avuto esempi clamorosi di armi procurate all’ultimo minuto, prese dalla malavita organizzata o addirittura costruite ad hoc. Ogni caso è a sé. L’arma non è un problema. Chi ha questa volontà il mezzo lo trova, sempre.”

Questo periodo di chiusura totale ha posto diversi problemi, in particolare le violenze domestiche. Il lockdown quindi non ha fatto bene, da questo punto di vista? “È stato un incentivo spesso difficilmente gestibile dalla coppia in conflitto. La possibilità di chiedere aiuto in un lockdown obbligato è diventata una difficoltà immensa, ancora maggiore rispetto a prima, che in Europa si è tradotta in un 34% in più di casi di violenza domestica. Questo nonostante all'inizio il lockdown potesse sembrare un elemento favorevole: l’aggressore ha la vittima tra le quattro mura, quindi ha il massimo controllo sull'altra persona. Ma questo non ha dato soddisfazione a chi è violento all’interno della coppia, che anzi ha avuto ancora più possibilità di creare conflitto mentre la vittima ha avuto ancora più difficoltà a chiedere aiuto. È una situazione del tutto nuova, con vittime maggiori in termine di numeri e in cui sono commessi reati peggiori. La violenza di genere è lievitata in questo periodo ed è una questione molto dibattuta dalla scienza. Tra qualche mese forse potremo comprendere meglio quanto è cambiato il conflitto di coppia in questo contesto”

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