L'intervista
Femminicidi e violenza, quali i segnali allarmanti?
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Redazione
2 anni fa
Kathya Bonatti, docente di master in Educazione affettiva e sessuale, pone l'accento sull'educazione culturale all'interno delle scuole e famiglie per sapere cogliere i segnali d'allarme in una relazione e fare vera prevenzione.

In Italia si è scatenato un ampio dibattito dopo la morte di Giulia Cecchettin, uccisa dall'ex fidanzato. Un dibattito sull’educazione dei giovani, sulla cultura, sul patriarcato e sulla violenza di genere. Un dibattito che si è aperto anche sul ruolo degli uomini e che contrappone quest’ultimi alle donne. Ne abbiamo parlato con Kathya Bonatti, docente di master in Educazione affettiva e sessuale per l’infanzia, la genitorialità, l’adolescenza all’Università di Roma 3.

Ha seguito il dibattito che è nato dopo la morte di Giulia Cecchettin? Quali sono le sue impressioni?

“Ho seguito molto bene i vari dibattiti, anche nelle varie nazioni. Quello che mi ha colpito in maniera particolare è proprio questa lotta tra uomini e donne, che non è proficua né per gli uomini né per le donne perché ogni persona è un caso a sé. Quello che risulta essere proficuo è saper cogliere i segnali di allarme che c'erano anche in questo caso, ma che sono stati sottovalutati. È molto più importante fare educazione culturale all'interno di scuole e famiglie per parlare proprio dei segnali a cui bisogna porre attenzione per fare vera prevenzione”.

Quali sono questi segnali e se ci sono cosa dobbiamo fare?

“I segnali sono svalutazione, denigrazione, ossessione; quanto il partner vuole controllare l'altro; quando minaccia di suicidarsi; quando c'è invidia o competizione per i successi raggiunti dall'altro; quando c'è una forma di controllo che viene scambiata per amore e attenzione, ma in realtà è solo una forma del disturbo narcisistico di personalità, che a volte può essere palese e altre no; quando non c'è il rispetto della libertà dell'altro. Fa parte della vita lasciarsi e avere più esperienze e relazionali sessuali. I partner devono saper accettare il rifiuto, i no. Non è una sconfitta personale, ma fa parte delle esperienze della vita. Ma quando questo non viene accettato e ci sono segnali allarmanti, la relazione non è sana”.

Come mai secondo lei è così difficile leggerli prima e non a posteriori? Perché ogni volta che succede un fatto del genere a posteriori si dice ‘i segnali c'erano, però non siamo riusciti a leggerli’?

“Perché in nome dell'amore spesso si abbassano le difese. Viene scambiato per amore o attenzione quello che è una mancanza di rispetto verso l'individuo. Nella coppia sana ci si aiuta reciprocamente a crescere, ma anche a diventare la versione migliore di noi stessi. Quando ci sono minacce, ricatti emotivi, dove non c'è la libertà di diventare sé stesso, allora sono le singole persone che devono fare attenzione. Quando ci sono delle note stonate, il corpo dice la verità. L'amore sano fa stare bene, non male”.

Secondo lei è una questione ancora culturale?

“È una questione di ferite dell'individuo, sia uomo che donna, che non hanno ancora imparato a sanare e accettare che la fragilità e i no fanno parte della vita. Non sono in grado di reggere questa ferita narcisistica. Una parte è legata alle ferite dell'infanzia, che non sono state elaborate e superate. Una parte è invece culturale perché c'è una "guerra" a dover essere vincenti, avere la performance più di successo per avere valore. Ciascuno di noi deve invece imparare a legittimare il proprio valore a prescindere dal comportamento e dal pensiero degli altri, quindi accettare la vita anche nelle parti fragili”.

Quando ci sono questi segnali cosa bisogna fare? Uno può anche spaventarsi, ho la percezione e ora?

“Quando c’è un profondo malessere, il corpo dice sempre la verità. Nel dubbio è meglio chiedere aiuto, in primis alla famiglia. È utile parlare con entrambe le famiglie dei partner e rivolgersi ad un professionista, che potrà sanare queste ferite e accompagnare entrambi i partner a lasciarsi in maniera più sana. Nei casi gravi dove c'è una minaccia, violenza psicologica o verbale bisogna invece andarsene senza nessuna possibilità di dare spiegazioni o essere educati nel farlo. Quando ci sono gravi segnali di pericolo è meglio non dare l'ultimo appuntamento, se non con un famigliare, ma solo se strettamente necessario perché la ferita dell'altro non verrà sanata dalla spiegazione. Inoltre, una cosa che non si tiene mai abbastanza in considerazione è il fatto che a volte le donne trovano una doppia vita nel computer del proprio partner, in quel caso mai smascherarlo perché potrebbe scatenare reazioni violente. L'obbiettivo è salvarsi, non dimostrare di avere ragione, quindi chiedere aiuto alla famiglia di origine, a professionisti e non far scattare la sindrome della croce rossina.

Il dibattito si è concentrato molto sulla società patriarcale. La società attuale è in grado di proteggere le sue vittime?

“La società non è ancora in grado di proteggere le vittime per diversi motivi: si dimentica che spesso le ferite nascono dalla famiglia di origine. Mi è capitato di vedere persone che affrontano la coppia, la famiglia o i figli senza essere prima adulti. Dal punto di vista culturale è importante comprendere che non è necessario essere vincenti, lo siamo quando esprimiamo noi stessi. Poi l'educazione aiuta a capire che il no va rispettato. Dove non c'è un consenso, allora finisce la libertà dell'altro. Se l'esistenza umana si fondasse sul consenso, sicuramente si arriverebbe ad avere meno violenza dal punto di vista fisico, quindi rispettare l'integrità dell'altro”.