
Il momento della nascita di un figlio è considerato tra i più meravigliosi nella vita di una persona. Ciononostante, nel 2022 c’è stato un netto calo delle nascite in Svizzera, pari addirittura all’8%. Un dato, fornito dall'Ufficio federale di statistica, che ha sorpreso l'esperto ed economista Ivano D'Andrea. “Il dato nazionale mi ha stupito molto e deve far riflettere: siamo una delle nazioni più evolute e più ricche al mondo, ma questa stabilità non viene percepita dai nostri giovani”. Per D’Andrea l'impressione è che, ad oggi, i giovani “hanno una forte sensazione di insicurezza, la quale porta conseguentemente a rimandare i progetti di genitorialità”. Una sensazione che stupisce l’esperto, in quanto “potremmo pensare che questo stato di crisi globale permanente potrebbe essere interpretato come lontano per la Svizzera. Invece agli occhi dei giovani questo periodo post pandemico, caratterizzato da guerre e crisi ambientali, ha un effetto negativo sui loro progetti futuri”.
Ticino, natalità più bassa a livello nazionale
L’anno scorso le nascite a livello nazionale si attestavano a 82'371. Stando ai dati rilasciati negli ultimi cinque anni è tuttavia evidente il netto calo che ha contraddistinto il 2022. “Bisognerebbe mettere i giovani nelle condizioni di poter avere figli, senza quella sensazione di pesantezza legata alla preoccupazione e all’incertezza”, prosegue D'Andrea. Se a livello nazionale la situazione non promette bene, neanche il Ticino fa eccezione, anzi. Nel nostro Cantone la situazione è anche peggiore di quella Svizzera: dopo aver raggiunto un mini-picco nel 2015, le nascite sono poi diminuite anno per anno. “In Ticino la situazione è nota da anni: noi abbiamo una natalità molto bassa, la peggiore a livello svizzero”, spiega l'economista, secondo cui a giocare un ruolo decisivo c’è il mercato del lavoro. “Magari è poco attrattivo e non dà certezze su stabilità e durata dell’impiego. Tutti fattori che frenano i piani dei giovani di fare una famiglia”.
“I segnali ci sono già da tempo”
Secondo D’Andrea si sarebbe dovuto agire prima perché i segnali ci sono da tempo. E se questo trend continua, ci saranno conseguenze importanti. “Se non affrontiamo questo problema dal punto di vista lavorativo, questi dati diventeranno come quelli della cassa malati: sempre più negativi. Questo prima o poi intaccherà anche il nostro benessere e la crescita economica. Un bambino in meno oggi è un lavoratore in meno fra 20 anni. Quando parliamo di carenza di manodopera, soprattutto in Ticino, è perché questa situazione sta durando da troppo tempo. A nulla sono valsi, quindi, i segnali d’allarme lanciati anche dall’UFST e da Coscienza Svizzera. Non abbiamo mai avuto riscontri a livello politico”, ha concluso D’Andrea.
