
Il Gran Consiglio ha dato luce verde all’avvio di un audit esterno per fare piena luce sul caso dell’ex funzionario del DSS, condannato lo scorso aprile in secondo grado per violenza carnale e coazione a 18 mesi di carcere sospesi, e di quel che è successo allora all’interno dell’Amministrazione cantonale. Una proposta scaturita dalla Sottocommissione finanze, che negli ultimi sei mesi si è chinata sul caso, e approvata dalla Commissione Gestione e finanze, che oggi è approdata in Parlamento.
Il rapporto, approvato con 71 voti e 4 astenuti, prevede di assegnare il mandato a un ente esterno, che non ha legami con il territorio e con la politica ticinese. Gli esperti chiamati a indagare sul caso avranno poteri inquirenti accresciuti, che sono regolati da un decreto legislativo. Quest’ultimo prevede che chi è chiamato a testimoniare è obbligato a farlo.
L’opzione di una commissione parlamentare d’inchiesta (PCI), che era sul tavolo della sottocommissione finanze, è stata dunque affossata. La deputata Tamara Merlo (Più Donne) ha tuttavia evocato la possibilità di riproporla. “Non riteniamo che la PCI sia superata. Dipenderà molto dalla qualità di questo audit. Vi aspettiamo al varco”, ha detto Merlo, riferendosi all’opinione pubblica.
Dal canto suo il presidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli ha preso atto che “gli accertamenti del Governo e le risposte agli atti parlamentari non sono state valutate sufficienti” dal plenum. “Attendiamo serenamente cosa uscirà da questo audit e verificheremo se i risultati saranno significativamente distanti da quello che il governo ha accertato e riferito in quest’aula”.
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