
Coca-Cola, forse ve ne sarete accorti, è scesa in campo politicamente con manifesti pensati espressamente in vista della votazione federale del 9 febbraio. Il popolo infatti, in quella data, sarà chiamato a decidere se punire la discriminazione basata sull'orientamento sessuale.Riguardo alla singolare trovata di Coca-Cola – che poi tanto singolare non è, e vi spiegheremo perché – abbiamo contattato Luca Visconti, direttore del programma Master in Marketing & Transformative Economy dell’Università della Svizzera italiana.
Le campagne pubblicitarie storiche di Coca-Cola“Per interpretare questa campagna, è utile collocarla all’interno delle diverse tipologie di comunicazione che Coca-Cola ha sviluppato dagli anni ’40 in poi – spiega – storicizzando quindi la relazione che la marca ha intrattenuto con le sue audience”.
In maniera più tecnica, Visconti osserva che Coca-Cola ha intrapreso tre principali tipi di comunicazione. La prima è una comunicazione di prodotto, che si traduce nel promuovere nuovi lanci (per esempio, quello di Coca-Cola Life) e i benefici dei suoi prodotti (tipicamente, la loro capacità rinfrescante o l’unicità del gusto). Queste campagne sono mirate a un immediato, e positivo, impatto sulle vendite e sulle performance economiche della marca.
Una seconda forma di comunicazione, prosegue, “riguarda quelle campagne volte a supportare nel tempo l’iconicità del marchio. Coca-Cola è infatti un brand iconico, di valore anche finanziario”. A titolo di esempio, nel 2015 la famosa campagna “I’ve Kissed…” servì a festeggiare i 100 anni della più famosa bottiglia del mondo, accostandola alle labbra di altrettanto famose icone americane del passato (Marilyn, Elvis, Ray Charles), tutte accomunate dalla passione per la bevanda. Le campagne in cui Coca-Cola si lega alla figura di Babbo Natale, e al mito che si cela dietro, sono un ulteriore esempio di comunicazioni a supporto dell’iconicità del brand.
Da ultimo, la terza tipologia di comunicazione si definisce di “ancoraggio culturale”. Questa è stata la tipologia che Coca-Cola ha utilizzato nelle sue campagne dagli anni ’40 e sino, indicativamente, agli anni ’80, con comunicazioni volte ad ancorare il brand nel suo contesto culturale, proprio come ha fatto oggi alle nostre altitudini.“Negli anni ’40, Coca-Cola si trovò a supportare l’intervento armato americano, e quindi la guerra, considerato un male necessario per liberare gli alleati dal nazi-fascismo.
La guerra era quindi il prezzo da pagare per difendere la libertà”. “A fine anni ’60, – prosegue Visconti – la società americana cambiò rispetto al modo d’intendere la guerra, sulla scia della guerra del Vietnam e del movimento Hippie. Così, Coca-Cola a sua volta cambiò discorso”. Nel 1971, e forse lo ricorderete, la campagna “Hilltop” proponeva un gruppo di persone di diverse etnie, per lo più giovani, che si ritrovano su una collina, intonando un inno alla pace e alla fratellanza. Con il cambiare del discorso culturale, Coca-Cola adatta la sua comunicazione, declinando i propri valori (libertà, felicità condivisa, etc.) in linea con le nuove sensibilità dei suoi pubblici di riferimento: dalla guerra come strumento di libertà negli anni ’40, alla pace come garanzia di libertà e felicità negli anni ’60-’70.
Con l’intensificazione del movimento per il riconoscimento dei diritti dei cittadini afro-americani, nel 1979 Coca-Cola firmò un’ennesima campagna iconica, in cui un allora celeberrimo giocatore di baseball, Joe Green (afro-americano), veniva avvicinato da un bambino “bianco” che, allungandogli una bottiglia di Coca, stabiliva una simbolica alleanza con lui. La nuova America è dunque quella costruita su un messaggio anti-razzista, almeno per Coca-Cola.Questa comunicazione di marca, basata sulla rilevanza e sull’ancoraggio culturale, si è tuttavia ridotta a partire dagli anni ’80. La recente campagna di Coca-Cola in favore della diversità di orientamento sessuale sembra segnare un ritorno alla comunicazione valoriale della marca.
A che cosa serve?Serve per costruire una marca ben al di là del prodotto (di per sé banale), nutrendolo con sfaccettature differenti. “Con il ‘love brand’ – prosegue Visconti – si sviluppa una dimensione affettiva con la marca”. Di questo quindi si tratta se si fa riferimento al tipo di campagna attuato da Coca-Cola. Quest’ultima infatti ha deciso di sostenere determinati valori che per qualcuno sono tali, per altri non lo sono affatto, ma su questo, Visconti aggiunge un dettaglio importante “ogni brand crea ‘discriminazione’, un vero marchio si posiziona separando chi lo segue da chi non lo segue perché – conclude – un brand che mette d’accordo tutti, non mette d’accordo davvero nessuno, e non è quindi un vero brand”.
Ma la Svizzera è un caso isolato?La Svizzera italiana e l’Italia, oltre ad essere vicine geograficamente, si avvicinano anche per altre questioni, tra queste la lingua e la presa di posizioni di questo genere assai frequenti. In merito, Luca Visconti fa un elenco di aziende che hanno preso posizioni nette come quella di Coca-Cola: American Express, Barilla, Coca-Cola con la campagna ‘Love is Love’, Durex, Freeda, Google, Helvetia Assicurazioni, Nestlé, Ikea e così via.In questi ultimi anni, il tema dell’inclusività è diventato uno di quelli a cui le generazioni più giovani (e non solo) prestano maggiore attenzione. I brand che supportano l’inclusività hanno quindi conosciuto spesso un grande successo commerciale. Di conseguenza, Coca-Cola “non si può dire un iniziatore sul tema”, pur assumendo un rischio con la decisione recente di schierarsi decisamente a favore di una società più “diversa”.
Una trovata pubblicitaria funzionaleUna scelta del genere, spiega il professore di Marketing dell’USI, assolve a diverse funzioni. “In primis, rafforza la rilevanza culturale della marca nella società di oggi. Inoltre, legandosi ad altri elementi iconici (come alla bandiera arcobaleno, simbolo del movimento gay/lesbico/transessuale), rafforza il suo ancoraggio nella cultura visiva e materiale contemporanea. Nel complesso, per quanti condividono le posizioni di Coca-Cola, questa campagna serve anche a rafforzare il legame affettivo con la marca, nonché il livello di identificazione di questi consumatori con Coca-Cola”.
La posizione politica di Coca-Cola, c’è o non c’è?Di fatto, si può concludere che la multinazionale ha preso una posizione. “L’ha presa trasversalmente, in tutta Europa e non solo nel dibattito svizzero” spiega Visconti.
La teoria dei mega brandC’è chi dice che i mega brand, come Coca-Cola, stanno diventando nella società, nella cultura e nell’economia attuali come dei nuovi Paesi. “Una dimensione geopolitica della marca, che consiste nel creare marche capaci di confederare milioni di persone attorno a certi valori comuni, una sorta di geo-politica parallela, dove il collante tra persone non è solo la cittadinanza politica tradizionale, ma anche il legame affettivo ed ideologico con una marca in comune” spiega Visconti, che conclude aggiungendo che “l’engagement di alcuni brand è oggi simile a quello dei leader politici, quasi come se geopolitica tradizionale e geopolitica di marca procedessero in parallelo”.Di questo modo, in questa chiave di lettura, Coca-Cola dimostra che per le votazioni federali il marchio si può sostituire al discorso politico della confederazione.
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