
"Negli anni Ottanta non vi fu alcun rapporto tra l’allora Governo, rispettivamente i singoli Consiglieri di Stato, e la famiglia di Alvaro Lojacono Baragiola". A ribadirlo, bollandole come "illazioni smentite già nel corso di una sessione parlamentare del 1988 dall’allora presidente del Governo Claudio Generali" è stato consigliere di Stato Claudio Zali.
Il presidente del Governo ha risposto oggi all’interpellanza presentata dai deputati Boris Bignasca (Lega), Jacques Ducry (PS - Indipendente) e Sebastiano Gaffuri (PLR) che chiedeva lumi sull'operato degli allora direttori dei dipartimenti di Polizia, degli Interni e di Giustizia, ovvero Giuseppe Buffi (DP) e Pietro Martinelli (DI e DG).
Nel loro atto parlamentare i deputati si sono inoltre chiesti come mai l'ex brigatista, arrestato a Lugano l’8 giugno 1988, avesse ottenuto il passaporto svizzero nonostante fosse un ricercato internazionale. A questa domanda, ha sottolineato Zali, aveva già risposto l’allora Consiglio di Stato il 14 dicembre dello stesso anno, segnalando che la disposizione transitoria della Legge sulla cittadinanza del 1985 prevedeva il diritto al conferimento automatico della cittadinanza a persone nate dopo il 1953 e con un genitore di nazionalità elvetica (ovvero la madre di Baragiola). Non occorreva dunque alcuna verifica e la cittadinanza gli era dunque stata conferita automaticamente.
Baragiola, lo ricordiamo, venne condannato il 6 novembre 1989 dalla Corte delle Assise criminali di Lugano alla reclusione perpetua per correità nell’assassinio del giudice Tartaglione e per rapina. In sede di ricorso alla Corte di Cassazione e revisione penale la pena venne ridotta a 17 anni di reclusione per effetto dell’entrata in vigore di una nuova versione più mite dell’art. 112 del Codice penale che non prevedeva più la reclusione a vita per il reato di assassinio bensì una forchetta di pena tra 10 anni e la reclusione perpetua. Quest’ultima sentenza era stata confermata su ricorso dal Tribunale federale.
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