
Dopo un quarto di secolo di attività, don Gianfranco Feliciani lascerà la parrocchia di Chiasso. La decisione è già stata comunicata all'Amministratore apostolico, monsignor Alain de Raemy, e mercoledì l'arciprete ha informato anche l'assemblea parrocchiale. Ticinonews lo ha incontrato per una lunga chiacchierata.
Partirei da questa domanda un po' provocatoria, ma non troppo. 25 anni ‘e sentirli tutti’ o si arriva a questa decisione importante ancora con l’entusiasmo per il suo ruolo?
“L'entusiasmo di essere annunciatore della parola di Gesù, certo. Dopo, per quanto riguarda la presenza, il servizio in una parrocchia, lì si può discutere. A me sembra di aver fatto la cosa più ovvia, mi stupisco anche di questo clamore mediatico. I vescovi a 75 anni hanno l'obbligo di dare le dimissioni, i parroci no, ma questo traguardo rimane indicativo anche per i preti. Io ho pensato: ‘mi manca un anno e mezzo per arrivare ai 75, è giusto che dica alla mia gente che bisogna preparare il futuro’. Io ho intenzione, ne avevo già parlato con il vescovo, di passare il testimone a qualcun altro. Lo prepariamo insieme il futuro".
Mi ricollego a quanto detto poco fa e a quanto ha dichiarato anche a laRegione: lei si è chiesto perché le sue dimissioni facciano notizia. Nel frattempo, ci ha riflettuto e si è dato una risposta?
“Forse perché viviamo ancora una situazione di chiesa in cui la sinodalità, ovvero il camminare insieme, non è proprio una logica scontata. Facciamo ancora fatica. Io credo che proprio nella dinamica di una sidonalità. il passaggio del testimone non debba riguardare solo il vescovo, il parroco uscente e quello entrante, bensì coinvolgere tutta la comunità. Ciò richiede un po’ tempo, ma è bene che tutti partecipino a questo fatto”.
Sulle possibili motivazioni per cui questa decisione sta facendo notizia c'è anche il fatto che lei è stata un’istituzione per la comunità di Chiasso, ma non solo. È stato un po’ parroco ma anche un po’ politico ed è finito spesso sulla stampa, prendendo posizione anche su temi spinosi, dalla difesa dei migranti alla questione della canapa, fino alla prostituzione.
“Io sono giunto a Chiasso come pastore, ma devo dire che molte volte è stato il gregge a guidare il pastore e a dirgli dove andare. Tu arrivi in una comunità dove trovi i problemi sotto gli occhi, vedi le persone, il disagio delle famiglie… come fai a non dire niente? Se vuoi un po' di bene a quella gente ti muovi, diventi la loro voce, il loro aiuto. Non c'è nulla di estraneo al vangelo. Certo, intendiamo la politica non come partitica, ma nel senso greco ‘polis’, ‘ amore alla città’. Quale fatto non tocca l'etica, il comportamento delle persone?”
C'è qualche battaglia o tema di cui si è fatto portatore di cui va particolarmente fiero?
“Ripeto: è la gente che ha comminato con me. Ecco, sulla questione dei migranti mi sono trovato bene, ma perché la stragrande maggioranza della popolazione di Chiasso è migrante, a cominciare dal parroco. Io sono figlio di bergamaschi emigrati qua dopo la guerra. Ma siamo tutti così. Chiasso è abituata ad avere un movimento, contiamo 70 nazioni in città. E l'integrazione avviene, con tanta fatica, però avviene. E poi abbiamo avuto il Covid. Speriamo ci abbia insegnato; siamo stati bravi a tenere aperte le frontiere affinché gli infermieri lombardi e i frontalieri potessero entrare. Se le avessimo tenute chiuse, saremmo stati a terra”.
Tra i vari punti che l'hanno portata agli onori delle cronache ci sono stati anche degli scontri con il Mattino della domenica, e anche con Lorenzo Quadri. Dieci anni fa Ticinonews pubblicava un articolo relativo a una sua predica in cui si lei invitava Claudio Zali e Norman Gobbi (definiti da lei "persone oneste e buone") a prendere le distanze dal Mattino. Siete riusciti poi nel frattempo a fare pace con il settimanale o siete ancora ai ferri corti?
“Al di là dei pensieri ideologici, è avvenuta una cosa molto bella: a furia di litigare, abbiamo imparato a volerci bene e ad essere amici. E discutiamo ancora, ma i leghisti di Chiasso sono tutti miei amici del bar”.
Non poteva mancare una domanda sul Pontefice: che papa è stato Bergoglio?
“È stato un grande papa. Per carità, tutti i Pontefici sono vicari di Cristo, ma con lui ho trovato una sintonia totale, un papa che ci ha riportati sempre più all'essenziale, al vangelo. E ci ha fatto capire che noi non siamo ancora dei cristiani veri, abbiamo molto cammino da fare. Certo un uomo che ha lasciato il segno”.
Il 7 maggio si aprirà il conclave. Chi vede al posto di papa Francesco? Che Pontefice servirebbe oggi?
“Francesco ha spalancato delle porte che non si chiuderanno più, ma non ha inventato chissà cosa: ci ha riportati al vangelo. Il nuovo papa non potrà fare altro che continuare su questo cammino di ritrovare l'essenziale, ovvero Cristo e la sua parola. Ognuno ha il suo carattere, il suo modo di fare, però la strada è quella”.
C'è qualche nome che le piace particolarmente?
“Mi piacerebbe il cardinale Zuppi, però lasciamo fare allo Spirito Santo".
Ci vorrebbe un papa anche un po' politico?
“La fede tocca la politica. Guai se non lo facesse, poiché la fede abbraccia tutto l'uomo e la politica è una realtà importante. Ma, ripeto, lasciamo fare allo Spirito santo”.
Quanto la vedremo ancora a Chiasso?
“Vedremo. Ci intenderemo con il vescovo. Penso alcuni mesi”.
L'intervista a Don Feliciani a Ticinonews: