
Era il 25 febbraio 2020 quando il direttore del Dss Raffaele De Rosa e il medico cantonale Giorgio Merlani annunciavano il primo caso di Covid-19 in Svizzera, caso rilevato nel nostro cantone. Una data che diede inizio a una cascata di direttive e misure da una parte, e a un numero di contagiati sempre più alto dall’altra. A distanza di due anni, dopo numerose ondate e un recentissimo freedom day, i colleghi di Ticinonews hanno gettato uno sguardo a questa giornata simbolica insieme alla psicologa della polizia cantonale Marina Lang. “È una giornata che meriterebbe un momento di introspezione. Tutti avremmo bisogno un momento per estrapolare un minimo di insegnamento da questi due anni”.
Il paragone guerra-pandemia
Ma quell’attimo di tempo non c’è stato, perché dal freedom day, con l’addio delle restrizioni, all’avvento di una guerra sono passati solo pochi giorni. E, emotivamente parlando, ci spiega la psicologa della polizia cantonale, il parallelismo tra i due eventi è presto fatto. “Ci ritroviamo catapultati in una realtà dove, ancora una volta l’urgenza la fa da padrone”, annota Lang. “Il parallelismo con l’inizio della pandemia viene da sé. Anche le emozioni, se guardiamo bene: la paura che dominava gli inizi dei due anni, la ritroviamo oggi in un’altra forma per l’incertezza, l’insicurezza, per quella sensazione che queste cose di solito non succedono vicino a noi, nelle nostre realtà”.
L’esperienza per gestire le emozioni
Ma la paura, forse irrazionale, che la guerra, come il coronavirus, possa entrare nelle nostre case, può essere gestita. Come? Proprio grazie a quanto appreso in questi due anni. “Se c’è una cosa che davvero la pandemia ci ha lasciato è il saper gestire un po’ l’incertezza”, prosegue la psicologa. “Io spesso ho usato questa metafora del riuscire a fluttuare, un po’ come si fa sulle onde del mare, che arrivano e vanno, e che non gestiamo noi. Non decidiamo noi né l’intensità né la durata, né la quantità di queste onde. Però possiamo imparare a surfare, e questo ci rende un pochettino più soldi di fronte alle paure che, ripeto, sono del tutto sane, come questa di una guerra alle porte, così vicina, che suscita in tutti una reazione di timore”.
L’introspezione come strumento
Una reazione sana, dunque, a quanto vissuto in questi due anni di pandemia e che molti, nell’incertezza attuale, potrebbero ancora vivere. Ma come gestire le derive? “Mi viene da pensare un po’ alle pagine di TikTok, quando noi con lo schermo muoviamo e passiamo ad altro. Ecco, il ritmo è dettato dagli eventi, gli stimoli ci invadono in continuazione, ma forse ognuno di noi può fare lo sforzo di chiudersi un pochino, per quanto possibile, in un momento introspettivo di riflessione. Perché purtroppo non viene da sé, i tempi non sono dati: il rischio è che siamo catapultati, buttati dentro a questi ritmi. Prendiamoci del tempo, in una sorta di cura di noi stessi”.
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