Ticino
Da che parte girarsi quando si parla di Covid
Daniele Coroneo
2 anni fa
La psicoterapeuta Elena Scaffidi parla delle difficoltà psicologiche vissute dai giovani in questo periodo incerto, che potrebbe forse segnare la fine della pandemia. “La plasticità delle idee ci salverà”

Misure che cambiano, allarmismi, diffidenza: la pandemia fa pagare un prezzo estremamente alto anche sul piano psicologico. All’emergenza sanitaria è corrisposto un aumento della diffusione di ansie e depressione nella popolazione, in Svizzera e nel mondo. I numeri sono preoccupanti: secondo il Servizio psichiatrico bernese, nell’ultimo anno le richieste di aiuto da parte di adolescenti e giovani adulti sono cresciute del 50%, le emergenze psichiatriche addirittura del 100%. Nella vicina Penisola, uno studio dell’Università Cattolica di Milano ha messo in luce che il 17,3% dei giovani sente il desiderio di farsi del male o di togliersi la vita. Quest’ultimo pensiero si è insinuato nelle menti di un ragazzo svizzero su undici.

Informazioni contraddittorie
Stiamo vivendo settimane strane: i casi non sono mai stati così numerosi, ma da sempre più parti si vaticina: “La fine della pandemia è dietro l’angolo” (una profezia, a dire il vero, già sentita in più di un’occasione in questi due anni). Per valutare l’impatto di tutta questa incertezza sulla nostra psiche, in particolare su quella dei giovani, la psicoterapeuta Elena Scaffidi è intervenuta in diretta a Ticinonews. Riportiamo di seguito alcuni stralci dell’intervista, visionabile integralmente nel video alla fine dell’articolo.

“Le statistiche ci hanno mostrato quanto questo periodo pandemico abbia inciso sulla psiche delle persone. È anche vero che stiamo riuscendo, gradualmente, a capire che la “plasticità” delle idee ci salverà: risposte univoche ai nostri dubbi sono in realtà impossibili da ottenere, benché ne avremmo bisogno per tutte le scelte che siamo chiamati a fare, anche nei confronti dei nostri figli. Conviene quindi abituarsi all’idea che il passaggio dalla pandemia all’endemia sia incerto, ma che come essere umani siamo ora fortunatamente in grado di mettere in atto dei meccanismi di adattamento e resilienza che una volta ci sembravano inconcepibili”.

Molti bambini stanno crescendo in tempo di pandemia e spesso non hanno ricordo della vita prima del Covid.
“È vero: loro spesso non sanno che la vita prima fosse più facile. È però pure vero che la serenità del bambino dipende dalla serenità del contesto nel quale è inserito: a tal proposito, sono molto contenta che in Ticino sia ancora possibile per i bambini e soprattutto per gli adolescenti andare a scuola in presenza. Essere a scuola significa essere a contatto con i pari, pur nel rispetto delle norme sanitarie, che diventano dei dogmi educativi che, se spiegati al bambino, possono essere assolutamente compresi da parte loro. La difficoltà che invece sto notando si vede soprattutto fra gli adolescenti e corrisponde alla dicotomia proposta fra “vaccinati” e “non vaccinati”, sebbene nel nostro Paese essa sia un po’ più sfumata rispetto ad altri contesti. Gli adolescenti, per definire la propria identità, sono infatti abituati a categorizzare in maniera estrema. Ecco, quindi, che la questione dello stato vaccinale diventa in questa fascia di età fonte di conflitto e di difficoltà relazionale”.

I dati mostrano numeri sorprendentemente alti di giovani con istinti autolesionisti o suicidari. Come intervenire?
“È importante essere vigili dove ci sono degli adolescenti (in famiglia, nello sport e nella scuola) e non sottovalutare certi segnali. Un genitore può interpellare uno specialista, senza necessariamente portare il ragazzo in consultazione, perché a volte basta anche un contatto con il genitore stesso. Se però ci sono dei segni più evidenti e gravi, per esempio di autolesionismo, occorre rivolgersi ai servizi competenti che nel nostro Paese, fortunatamente, sono numerosi e di ottima qualità”.

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