Gli editoriali
Conferenza sulla pace, il commento della stampa ticinese
© FDFA/POOL/Pascal Lauener
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un anno fa
Il giorno dopo la conclusione della conferenza sulla pace in Ucraina, la stampa ticinese commenta quanto avvenuto al Bürgenstock. Ecco cosa hanno scritto Corriere del Ticino e laRegione.

Bürgenstock. Questo luogo nel Canotn Nidvaldo è stato al centro dell'attenzione mondiale nel fine settimana appena passato. Il motivo? È lì che si è tenuta la conferenza sulla pace in Ucraina. Gli Stati partecipanti, un centinaio, non sono riusciti a raggiungere un accordo unanime su una "dichiarazione finale" e 84 tra Stati e organizzazioni partecipanti hanno sottoscritto un comunicato congiunto, lungo poco più di due pagine, in cui viene condannata la minaccia delle armi nucleari e si chiede il ritorno in Ucraina dei bambini deportati in Russia e l'esportazione senza ostacoli del grano ucraino. La dichiarazione, inoltre, non contiene inoltre alcuna dichiarazione chiara in merito alla data e al luogo per un prossimo vertice. I firmatari sono invece concordi sul fatto che occorrerà coinvolgere la Russia nelle consultazioni future: "crediamo che l'inclusione e il dialogo tra tutte le parti sia necessario per raggiungere la pace".

"La guerra, la pace e lo scacchiere elvetico"

"Una Conferenza sulla pace senza che al tavolo del dialogo fosse seduto l’aggressore, una dichiarazione sprovvista della firma di alcuni Paesi presenti sul Bürgenstock e una due giorni elvetica con il leader ucraino a fare 'gli onori di casa', scrive il vicedirettore del Corriere del Ticino Gianni Righinetti nel proprio editoriale. "Elementi che dovrebbero indurre chiunque a parlare di un’occasione mancata, se non di una conferenza fallita. Ma le cose non stanno in questi termini, la piccola Svizzera non esce con le ossa rotte da questo vertice che aveva preso una piega insidiosa già solo per quanto descritto in partenza. La nostra Svizzera, in quello che rimane un complesso scacchiere in un contesto nel quale è più facile sbagliare una mossa piuttosto che azzeccarla, ha risposto 'presente'. Certo si poteva decidere di rimanere immobili, ma questo atteggiamento non ci si addice e di questo ne andiamo fieri. Le critiche, specie quelle giunte dal mondo politico elvetico, si sono pertanto dimostrate piuttosto ingenerose e il bilancio va stilato non partendo da quello che sarebbe stato l’illusorio obiettivo della sottoscrizione della pace (che nessuno ha mai ipotizzato)", continua Righinetti.

"Non è tollerabile sottostare a diktat"

"Riconosciamo alla presidente della Confederazione Viola Amherd e al capo del DFAE Ignazio Cassis di aver raccolto il massimo e il meglio possibile da uno dei punti più suggestivi della nostra nazione, con un solo neo: aver concesso al leader ucraino Volodymyr Zelensky di orientare eccessivamente il percorso di questa conferenza. In futuro occorrerà maggiore capacità e caparbietà, senza farsi guidare da una parte nel conflitto a due passi di casa nostra, indipendentemente da quale sia questa parte. In particolare, per noi svizzeri che abbiamo la neutralità e l’indipendenza di giudizio che scorre nelle vene, non è tollerabile dover sottostare a diktat o alcun diritto di veto".

"Finalmente si è parlato di pace"

Come scritto, la dichiarazione finale non è stata accolta all'unanimità e ci sono diversi paesi che non l'hanno firmata, tra loro gli Stati "Brics", come India, Brasile e Sudafrica. Ricordiamo che Cina e Russia, inoltre, non hanno partecipato al Summit. "Credere che i Paesi Brics con delegazioni giunte in Svizzera (Brasile, India e Sudafrica) avrebbero fatto uno sgarbo ai potenti assenti – Cina, ma soprattutto Russia – non rientrava nella sfera delle cose immaginabili", aggiunge Righinetti, aggiungendo che "va riconosciuto che al Bürgenstock si è parlato per la prima volta di pace, un percorso che rimane lungo e impervio, che richiederà la collaborazione di tutti, Russia in primis".

"La diplomazia e i suoi limiti"

"La fine della guerra rimane una chimera". Inizia così Roberto Antonini, sulle pagine de LaRegione, il proprio commento alla conferenza sulla pace. "Il Bürgenstock non farà né tacere le armi né rinsavire il presidente russo. L’aggressore, assente, aveva d’altronde mandato un grottesco messaggio alla centuria riunita sulla montagna nidvaldese: che l’Ucraina firmi dapprima la resa, che rinunci a parte del suo territorio, poi possiamo discutere di pace. Una cinica provocazione che meritava tuttalpiù un’alzata di spalle. Sarebbe stato sorprendente allora stanare nei meandri lessicali del comunicato congiunto e successive conferenze stampa qualche passo concreto verso un accordo di pace, che notoriamente non si può raggiungere senza la controparte. Sono 84 le firme apposte al testo finale che riguarda la sicurezza nucleare, il commercio e lo scambio di prigionieri oltre al rimpatrio di 20mila bimbi ucraini deportati in Russia".

 "Un buco nell'acqua? No, non proprio"

"Ci sarà verosimilmente un seguito, non si sa dove, ma ieri il presidente Zelensky ha ribadito con forza il principio – irrevocabile anche per gli altri partecipanti – dell’intangibilità delle frontiere a cui Putin ha già da tempo risposto a cannonate. Summit tradottosi di riflesso in un buco nell’acqua? No, non proprio", continua Antonini. "Forte anche delle basse aspettative, l’iniziativa promossa dalla Svizzera segna un ragguardevole successo diplomatico. Viola Amherd e Ignazio Cassis ci hanno creduto, sono riusciti a riunire un centinaio di Paesi e organizzazioni raggiungendo due obiettivi politici: il consolidamento del sostegno all’Ucraina e la difesa dello Stato di diritto e dell’integrità territoriale degli Stati. A meno di non caldeggiare, di fronte a ingiustizie e guerre, una pilatesca lavata di mani nel lavacro della presunta neutralità, bisogna constatare che la politica estera elvetica ne esce rafforzata: Berna si scrolla di dosso quel look di pavido opportunismo che le ha consegnato una lunga storia di equilibrismi non proprio disinteressati".

"Il nuovo grande gioco"

"Il grande limite è costituito dalla mancata cooptazione di gran parte dei Paesi del Sud globale. In una fase di profondi mutamenti dell’assetto mondiale, il conflitto ucraino rimane una faglia sismica tra Occidente e quanti dalla galassia del G7 o dell’Ocse si sentono distanti se non esclusi. Le vecchie potenze percepiscono chiaramente sul loro collo il fiato sempre più ravvicinato e insistente di quelle emergenti, che ora, imbaldanzite dal progressivo spostamento del baricentro mondiale a cui conduce inevitabilmente la globalizzazione, rivendicano una loro fetta nella grande torta planetaria. Per molti degli assenti non si trattava certamente di schierarsi con l’invasore russo ma, nel nuovo “grande gioco”, di assumere maggior peso specifico di fronte a un Occidente di cui percepiscono le incongruenze: quelle della politica dei “due pesi due misure”. Lo ha ben sottolineato con prontezza ai microfoni della Rsi Carlo Sommaruga. Nel riconoscere 'il bel successo della diplomazia elvetica' il vicepresidente della Commissione esteri del Consiglio degli Stati non ha mancato di ricordare che il rispetto del diritto internazionale non deve valere solo per l’Ucraina, facendo esplicito riferimento al massacro in corso a Gaza. La credibilità del processo di pace che si vuole fare attecchire in Europa orientale si gioca in effetti anche altrove, laddove finora alla coerenza si è anteposta, sotto lo sguardo perplesso del 'Sud globale', una visione politica a geometria variabile".