Ticino
“Ci sono persone che agiscono in maniera eroica all’aggressività dell’altro”
Redazione
2 giorni fa
Monsignor Alain de Raemy rilancia l’appello di Papa Leone XIV a “disarmare le parole”: una comunicazione meno aggressiva può generare speranza, anche nei contesti più duri.

Si è tenuto ieri a Lugano un incontro tra la Diocesi e i professionisti della comunicazione. Un momento di confronto e riflessione guidato da Monsignor Alain de Raemy, dedicato al tema del "comunicare con speranza". Un concetto che l'amministratore apostolico ha ripreso da uno dei primi discorsi di Papa Leone XIV rivolto ai giornalisti. "Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio", ha detto il Pontefice. "Purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa e muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra". Partendo da queste considerazioni, abbiamo conversato con il vescovo di Lugano Monsignor Alain De Reamy.

Che cosa significa al giorno d’oggi comunicare con speranza?

“Penso che è il compito di un giornalista, del comunicatore, di parlare con speranza, di esprimersi e dire le cose con un messaggio che crea positività. Se parli di qualcosa che non va, se lo fai solo per condannare o con aggressività, non aiuta nessuno. Se riesci a dare un accenno di speranza e lo comunichi in maniera positiva, cioè non limitandoti a quello che non va, ma dando nel tuo modo di comunicare un'altra prospettiva”.

Come si coniuga la speranza quando la verità è dura?

“La verità tante volte è dura ma non è unica. Nel contempo, ci sono sicuramente persone che agiscono in maniera eroica all'aggressività dell'altro, rispondendo con del bene al male che gli viene fatto. O diventa solidale di chi soffre. Penso che nelle macerie di Gaza stiano accadendo in questo momento atti di solidarietà eroica, gli uni con gli altri e con il nemico. Accade in questo momento un bene silenzioso che scopriremo dopo. Il giornalista, quando parla del male che sta accadendo, dovrebbe poter in qualche modo esprimere anche questa speranza”.

Per quanto riguarda la comunicazione della Chiesa, anche quella deve seguire la stessa strada?

“Sì, siamo stati sovente una Chiesa un po' moralizzante, una Chiesa giudicante, condannando quello che non va, invece di proporre un messaggio positivo, di incoraggiare”.

A proposito della comunicazione della Chiesa, lei ha commentato uno dei primi discorsi di Papa Leone XIV. Secondo lei che tipo di comunicatore è e come si differenzia da Papa Francesco?

“Racconterei come ho reagito quando si è presentato sul balcone della Basilica. Ha preso un foglio e mi sono detto: "Peccato, sta mancando di spontaneità perché oggi serve comunicare liberamente”. Ma quando l'ho sentito e ho visto come i giornalisti hanno ascoltato bene quello che stava dicendo, mi sono detto: "No, ha fatto bene, non ha mancato l’occasione di dare un messaggio, un messaggio di speranza.”

Avvicinandoci al Ticino, secondo lei qua si comunica nel modo giusto, con la speranza?

“Penso di sì, sempre di più. Possiamo migliorarci ed evitare le chiacchiere. Se qualcuno è arrabbiato con qualcun altro o risponde con malumore andando da un giornalista, dovrebbe esprimere questi sentimenti prima con la persona con cui ha un problema e non andare a raccontarlo sulla piazza pubblica. Comunicare in modo aperto va bene, ma non per ferire o provocare disagio. Quando ci sono cattive intenzioni, non fa bene”.