
Entro la fine di marzo UBS chiuderà tre filiali ticinesi (Melide, Gordola e Giubiasco) e altre 41 su tutto il territorio elvetico. I vertici della banca hanno motivato la scelta con un contenimento dei costi visto il sempre maggiore utilizzo delle piattaforme digitali, a loro volta sospinte dalla pandemia. La scelta però non convince l’Assciazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB), che chiede ai vertici di congelare le misure. “Si tratta di servizi essenziali, tanto è vero che le banche non hanno chiuso durante il lockdown”, spiega la responsabile per la Svizzera italiana Natalia Ferrara ai microfoni di Teleticino che contesta non tanto la ristrutturazione in sé (spetta ai vertici decidere le proprie strategie), ma piuttosto le tempistiche e le modalità. “Si parla di chiudere un quinto delle filiali UBS in due mesi, neanche il tempo di avvisare la clientela”.
Servono garanzie sui posti di lavoro
I 14 dipendenti delle filiali ticinesi toccate dalle chiusure verranno trasferiti nelle sedi di Bellinzona, Locarno e Lugano. Non si parla dunque di licenziamenti imminenti. Ma per l’ASIB non è abbastanza. “Non basta dire ‘per il momento non ci saranno licenziamenti’. Una grande banca come UBS, che sta andando tra l’altro molto bene, deve dare la garanzia ai propri collaboratori che oggi, ma anche domani, potranno avere un posto di lavoro. È l’unico modo per togliere incertezza, malumore e sfiducia che regnano non solo nelle filiali ticinesi, ma nell’intero istituto. Inspiegabile tutta questa fretta”.
Le rivendicazioni di ASIB
Dopo aver incontrato i vertici dell’istituto ieri mattina, la richiesta dell’associazione è chiara: la banca deve congelare la decisione e con calma indicare una via al personale “affinché tutti siano sicuri di quello che capiterà loro”.
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