Una lettera aperta indirizzata ai vertici dell’azienda, con la quale esprimere il proprio malcontento e chiedere rispetto. I drivers di Divoora tornano a farsi sentire, dopo la protesta in piazza a Lugano del 23 dicembre, e lo fanno scrivendo direttamente all’azienda.
Il nuovo contratto all’origine delle proteste
“Dopo la nostra azione del mese scorso, Divoora ha dichiarato che non avrebbe accettato alcun ultimatum da parte dei lavoratori e dei sindacati. Purtroppo però l’azienda ha omesso di dire che se la trattativa tra le parti è iniziata nel mese di novembre, è a causa di una modifica contrattuale senza regolare disdetta con l’ultimatum (quello davvero tale) con il quale ci hanno intimato di firmare un nuovo contratto da un giorno all’altro con un salario di Fr. 0,35 al minuto e senza riconoscimento dei tempi di attesa”, si legge nella lettera pubblicata questa mattina dal Cdt. “Vale la pena ricordare quanto il nostro lavoro sia essenziale e quanto nel corso del tempo abbiamo assunto un ruolo sociale importante, fornendo un servizio, ad esempio, a chi è impossibilitato a muoversi di casa a causa della pandemia o a chi ha problemi motori o di altro genere. Nonostante questo, ci sono venute a mancare da un momento all’altro quelle condizioni alla base dello standard minimo di dignità”.
“Non è solo un’attività accessoria”
“L’azienda - prosegue il testo - si barrica dietro la narrazione del lavoretto secondario, fatto da qualche studente per arrotondare. Non tiene in considerazione, invece, che noi con il nostro salario manteniamo le nostre famiglie, paghiamo le bollette, facciamo la benzina ai nostri mezzi di trasporto per poter lavorare. Il nostro è un lavoro e come tale deve essere considerato e remunerato, perché le nostre ore e il nostro tempo valgono quanto quelle di tutti gli altri”. La necessità di un salario “è una necessità di tutti e non è accettabile che per raggiungere un minimo salariale che possa permettere di arrivare alla fine del mese si debba lavorare e stare fuori casa per 14 ore di fila, rinunciando del tutto alla propria vita, per vedersene pagate la metà”.
La mancanza di una risposta
“Siamo lavoratori e lavoratrici, siamo persone, non numeri. E per essere ascoltati siamo scesi in piazza, anche se per difendere i nostri diritti abbiamo dovuto coprire i nostri volti con delle maschere, per paura di possibili rappresaglie. L’azienda ci ha tenuto a uscire pubblicamente sminuendo la portata dell’azione. A nessuno è venuto il dubbio che i lavoratori e le lavoratrici presenti in foto fossero solo una rappresentanza di prima linea, rispetto a tutti coloro che sono rimasti indietro e che con l’adesione all’azione hanno mandato in tilt i servizi in tutti i distretti ticinesi”. Divoora, però, “non ha risposto a nessuno dei punti salienti della nostra denuncia: niente è stato detto in merito all’acquisto di scooter aziendali per assumere personale frontaliero e pagarlo Fr. 4 all’ora nei tempi di attesa e niente è stato detto in merito al fatto che in altri cantoni in cui Divoora sta esportando il suo business, i dipendenti vengono pagati correttamente per tutto il tempo di lavoro. Noi siamo lavoratrici e lavoratori e seri, professionali ed onesti e chiediamo rispetto per il lavoro svolto e un contratto dignitoso che ci permetta di vivere e non solo di sopravvivere”.
“Il sistema attuale fa male a tutti”
La lettera si conclude con una serie di domande rivolte ai vertici. “Abbiamo intrapreso una lotta sindacale nella quale ci siamo scoperti uniti perché ci siamo sentiti parte di qualcosa di bello che vorremmo mantenere. Tutti noi vogliamo il bene dell’azienda e vogliamo offrire un servizio eccellente, ma il sistema attualmente in vigore non funziona: fa male a noi drivers/riders e fa male all’azienda. Se davvero la ditta è rammaricata del fatto che le trattative con i sindacati si sono interrotte, come dichiarato pubblicamente, perché fino ad oggi non ci ha inviato nessuna comunicazione? Non siamo degni di nessuna attenzione da parte di Divoora? Siamo delle persone: vogliamo che l’azienda si prenda del tempo per conoscerci ed ascoltarci”.
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