
I lavori nella programmazione sono tra i più fragili di fronte all’avvento dell’intelligenza artificiale, lo ha mostrato una ricerca dell’Istituto di studi congiunturali del Politecnico di Zurigo. Un tema, quello degli informatici che rischiano il posto di fronte all’IA, tema del libro “La macchina che si autoprogramma”, il cui autore Francesco De Collibus, informatico, filosofo ed economista, è stato ospite di Filippo Suessli a Solo. “Quando è uscito ChatGPT, tutti sono rimasti senza parole perché sapeva usare il linguaggio naturale. Io mi sono guardato intorno e quasi tutti quelli che conosco sanno parlare il linguaggio naturale. Però questa macchina sa fare anche una cosa che non tutti sanno fare: scrivere codice, software”, racconta De Collibus. “E il software è l’oggetto cognitivo più importante che abbiamo nella società d’oggi, basti dire che tra le dieci persone più ricche del mondo, otto hanno o hanno avuto a che fare con il software”.
“L’IA è un abbattitore di carico cognitivo”
De Collibus, comunque, non è così pessimista: “L’IA può automatizzare alcune parti di un lavoro e si stima che un programmatore passi solo il 20-30% del suo tempo a programmare. Il resto è lavoro di coordinamento, ma soprattutto passa il tempo a capire cosa deve fare”, spiega. “In questo senso l’IA non è una cosa che sostituisce quella persona lì, ma allevia il carico cognitivo di alcune attività specifiche che svolgiamo durante il giorno. Quindi il suo effetto non può essere modellato in maniera lineare: arriva l’IA ed eliminiamo 20 persone. Perché potrebbe liberare il 90% di tempo perso in cose burocratiche e permettere di essere più produttivi. In realtà non è determinabile in maniera assoluta quale sarà l’impatto”. Alla base delle maggiori difficoltà nel campo dell’informatica potrebbero esserci anche altri motivi: “È vero che si registra un calo di professionalità legate all’IT, tuttavia c’è da dire che dopo il picco pandemico si è assunto moltissimo. Quindi potrebbe anche essere una fluttuazione più o meno naturale”.
