Giudiziaria
Casa anziani Sementina, l’accusa: “Ospiti non tutelati”
©Gabriele Putzu
©Gabriele Putzu
Laura Milani
un anno fa
È ripreso nel pomeriggio con la requisitoria il processo per i morti covid durante la prima ondata. La PP Pedretti: “Proprio perché non sapevamo nulla le disposizioni andavano rispettate scrupolosamente”.

Quella vissuta tra marzo e aprile 2020, durante la prima ondata di Covid, la procuratrice pubblica Pamela Pedretti l’ha definita “una situazione eccezionale e drammatica a cui nessuno era preparato”. “I dettagli e i meccanismi della malattia, ha spiegato durante la sua requisitoria, erano sconosciuti”. Ed è proprio perché le incognite erano tante “che le indicazioni delle autorità emanate per tutelare i più vulnerabili andavano seguite scrupolosamente, non interpretate à la carte”. Perché sì, per poter veramente comprendere quanto capitato alla casa anziani di Sementina, ha detto, bisogna proiettarsi nel periodo di allora.

Marzo 2020

Era marzo 2020, quando non conoscevamo quasi nulla del Covid. L’11 marzo l’OMS definì la malattia una pandemia. Tra l’11 e il 14 marzo in Ticino si chiusero tutte le attività non essenziali comprese le scuole, per tutelare soprattutto gli anziani. “Era la prima ondata di Covid, c’era tanta incertezza e tanta paura”, ha detto Pedretti evocando anche le immagini delle file di bare sui camion militari che lasciavano Bergamo. “Le autorità sono corse al riparo adottando provvedimenti in urgenza drastici e dolorosi come anche vietare le entrate in casa anziani e tutte le attività al loro interno, ma lo hanno fatto per loro: i più vulnerabili”. Tra tante incertezze, infatti, una cosa era apparsa subito chiara: se colpisce un anziano, il Covid, può portare a conseguenze più gravi, anche al decesso. Lo stesso medico cantonale Giorgio Merlani aveva dichiarato: “Siamo coscienti si tratti di una decisione spiacevole ma necessaria”. Era il 6 marzo 2020.

“Era come veder qualcuno morire soffocato in una piscina”

L’inchiesta condotta, ha tenuto a sottolineare Pedretti, non ha permesso di poter risalire ai momenti di contagio. Non è insomma stato possibile capire se chi è deceduto il Covid lo abbia contratto durante un’attività di canto o altro. Ecco perché, al termine dell’inchiesta, è caduta l’accusa per omicidio colposo. Non quella di contravvenzione reiterata alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili per l’essere umano. “Nessuno qui sta dicendo che il personale non si sia preso cura degli ospiti”, ha argomentato la PP. “Stiamo parlando di norme violate da chi aveva la responsabilità decisionale in un periodo sicuramente difficile. Un infermiere, durante gli interrogatori, ha dichiarato: “Era come veder qualcuno morire soffocato in una piscina”. “Agli imputati non è rimproverata la mancata presa a carico dei residenti ma il mancato tampone”, ha continuato, visto che già il 2 marzo il medico cantonale raccomandava comunque di non far uscire dalle stanze ospiti che presentavano sintomi simil-influenzali: temperatura già da 37.5 gradi, tosse, malessere generale. E tutto questo “non per tutelare il singolo ma la totalità degli ospiti”. “Troppi tamponi, ha elencato Pedretti, sono stati effettuati tardivamente, dopo giorni di febbre. Troppe persone con sintomi influenzali hanno continuato a girare liberamente per la struttura partecipando ad attività di gruppo. Il ruolo della direttrice sanitaria era quello di tutelare l’intera struttura e non lo ha fatto”.

Misure non rispettate

Non solo. Fino al 25 marzo si continuò a mangiare nella sala comune nonostante si sapesse che i primi contagi erano avvenuti proprio lì dove le distanze non potevano essere garantite. E questo benché già il 20 marzo il Consiglio Federale avesse vietato tutti gli assembramenti superiori a 5 persone. Ma le distanze non erano nemmeno rispettate negli spazi comuni ai piani, né durante i pasti, né durante le attività, per le quali “non esisteva nessun margine di interpretazione”, ha continuato Pedretti. Il tracciamento dei contatti? “Bastava una tabella Excel, non occorreva uno strumento ad hoc del medico cantonale”. Dure parole anche per aver fatto entrare nella struttura due pittori esterni per lavori non urgenti quando anche i cantieri in Ticino erano stati interrotti e l’impiego di un’operatrice sanitaria positiva durante un turno di notte benché in una situazione descritta “di emergenza” (ma così non comprovata dalla PP). “Spettava ai tre imputati istruire il personale sulla corretta applicazione delle direttive e così purtroppo non è stato”, ha concluso dopo aver più volte smontato quanto dichiarato ieri in aula dagli imputati. Versioni spesso in contrasto con quanto verbalizzato durante gli interrogatori. “Non solo le direttive sono state applicate alla buona. In certi casi non sono proprio state applicate tout-court”. Dal canto suo, il procuratore generale Andrea Pagani si è invece concentrato sul dubbio sollevato dalle difese in merito alla competenza dell’autorità cantonale (Consiglio di Stato e medico cantonale) ad emanare simili provvedimenti. “Ci trovavamo in una situazione di conclamata necessità”, ha detto Pagani esponendo in aula articoli di legge, perizie e sentenze. Per legge il medico cantonale coordina le autorità cantonali nella lotta contro le malattie trasmissibili. Tanto più che “il Consiglio di Stato a marzo 2020 ha dato chiaro mandato all’Ufficio del medico cantonale di stipulare tutta una serie di direttive per limitare il diffondersi del Covid negli ospedali e nelle case anziani”.

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