
Lo scorso sabato il giornalista italiano Toni Capuozzo era a Porto Ceresio per presentare il suo ultimo libro “Balcania”: una serie di ricordi di dieci anni da inviato in quella che fino a fine febbraio era stata “L’ultima guerra europea” (che per inciso è il sottotitolo del volume, edito da Biblioteca dell’Immagine). Seduti ad un caffè in riva al lago, siamo partiti dai ricordi di Capuozzo per analizzare gli oltre cento giorni di conflitto in Ucraina.
A tuo avviso ci sono delle analogie fra la guerra nei Balcani e quella in Ucraina?
La guerra nei Balcani era più vicina a noi ma sembrava toccarci di meno. Questa è una guerra che ci tocca anche nel portafogli: il prezzo dell’energia sta aumentando e ogni paese sta cercando di sganciarsi dall’energia che veniva fornita dalla Russia. Sullo sfondo resta la paura che diventi una guerra più ampia. Le forze Nato oggi sono presenti non solo nei paesi baltici ma anche in Polonia, Ungheria, Romania. La Moldavia, con la Transnistria, resta un punto di domanda. L’altra grande paura è la minaccia nucleare, con due forze in campo che dispongono di bombe atomiche. Si evita di parlarne per scaramanzia, ma esiste questa preoccupazione. Per tornare alla domanda, della guerra dei Balcani capivamo poco: era difficile dire chi aveva torto e chi aveva ragione, chi fossero i buoni e chi i cattivi, mentre adesso c’è un invasore. Ricordo che l’assedio di Sarajevo è durato 4 anni, l’agonia della Jugoslavia 10 anni. Si è chiusa nel 1999 con i bombardamenti della Nato.
Abbiamo superato i 100 giorni di guerra e le due parti non intendono cedere. Secondo te come evolverà il conflitto?
Intanto c’è da augurarsi che si arrivi a dei negoziati, anche se l’impressione è che si sia ancora lontani. Possiamo dire che c’è stata una prima fase del conflitto, quando trepidavamo per le sorti di Kiev. In gioco c’era l’esistenza stessa dell’Ucraina e la paura era che la Russia fosse pronta a trasformare il paese in una sorta di Bielorussia, uno stato satellite, controllato, disciplinato e ubbidiente. Quella prima fase si è conclusa con il ritiro delle truppe russe, che hanno lasciato la posizione non senza qualche ammaccatura. Il momento più preoccupante è stato la scoperta di Bucha, che ha mostrato i segni e le evidenze di quanto dura fosse stata l’occupazione russa. Forse è in quel momento che si è capito che era in corso una guerra vera, senza esclusione di colpi, e questo ha alimentato la volontà dell’Occidente di rifornire più armi all’Ucraina.
La seconda fase ha avuto un momento iniziale e decisivo con la resa dei combattenti dell’Azovstal. Credo che sia stato dato un segnale agli altri reparti ucraini che ci si poteva arrendere, che si poteva non morire per la patria. Probabilmente questo è stato un colpo fatale per tanti reparti ucraini che in questo momento si trovano sotto il fuoco di sbarramento dell’artiglieria russa nel Donbass. Credo che, da un certo punto di vista, potremmo essere vicini a un negoziato, perché la Russia ha ottenuto quello che consentirebbe a Putin di cantare vittoria: ha gran parte del Donbass, ha un corridoio di terra che arriva fino in Crimea; potrebbe dichiararsi soddisfatto ed esserlo. Ora dipenderà dalla volontà dell’Ucraina di cedere o meno parte dei suoi territori, alcuni dei quali non sono da anni sotto il controllo di Kiev. Se l’intenzione è conquistare il Donbass, l’Ucraina e la Nato dovranno prepararsi ad una guerra molto lunga e costosa, e in questo contesto basterebbe un incidente per un’escalation del conflitto.

Quello che mi sembra testimoniare che in questo momento la Russia non sta perdendo, è il diffondersi di notizie sullo stato di salute di Vladimir Putin. Sembra un macabro libro dei sogni: quando ti accorgi che non puoi sconfiggere un nemico ti auguri che la sorte ti aiuti a sbarazzarti di lui. La Russia sta reagendo bene alle sanzioni e in più ha guadagnato dei territori. Dobbiamo sperare che questa situazione di sostanziale pareggio possa portare a dei negoziati.
Parliamo dell’attenzione mediatica e pubblica sul conflitto. Dopo una prima fase acuta la tensione e l’attenzione sembra essere calata...
È chiaro che quando scoppia una guerra, le prime immagini che arrivano sono quasi insopportabili e sono una sorpresa amara. All’inizio eravamo tutti turbati, anche per il coinvolgimento di una superpotenza come la Russia. Ma non è possibile stare mesi incollati al televisore ingigantendo quelle che sono legittime paure e preoccupazioni. Io credo che spetti alle classi dirigenti non dimenticare e fare il possibile per arrivare ad una fine del conflitto. Il mondo è tante cose preoccupanti tutte insieme, ma allo stesso tempo anche la nostra quieta quotidianità. Vedere le guerre da vicino mi ha insegnato ad apprezzare di più quelle che sembrano cose scontate: la pace e la tranquillità quotidiana. Sono cose preziose, teniamocele strette.
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