
Non è raro che lo stilista tedesco con base a Lugano Philipp Plein finisca al centro delle polemiche anche, e soprattutto, nel nostro Cantone. Dalla pizza al sushi, passando per i cartelloni pubblicitari, negli scorsi mesi il suo nome ha fatto scrivere fiumi di inchiostro. Come lo scorso novembre, quando in molti avevano duramente criticato la sua campagna pubblicitaria per il Black Friday, dove mostrava alcune donne uccise dai "prezzi killer". Come ricorderete, la vicenda era stata segnalata su Facebook dal sindacalista di UNIA Giangiorgio Gargantini (vedi articoli suggeriti).
In Ticino si era mobilitata anche la politica: il gruppo Donne Uss e il Coordinamento Donne della sinistra avevano lanciato una raccolta firme per vietare l’affissione dei manifesti (mai apparsi sul suolo cantonale), i Verdi avevano chiesto un deciso intervento della Città di Lugano e 15 deputati avevano interpellato il Governo sulla pubblicità "volgare e misogina", chiedendo un intervento presso il brand di moda.
Tre deputati leghisti (Maruska Ortelli, Massimiliano Robbiani e Felice Campana) erano invece andati controcorrente, parlando addirittura di "panna montata". In un'interrogazione al Consiglio di Stato, Ortelli e cofirmatari avevano affermato che “raramente si è vista una mobilitazione così grande in difesa dei diritti femminili in caso dei reali abusi (commessi, citiamo, in particolare da stranieri e richiedenti l’asilo)". I tre deputati avevano quindi chiesto se il Governo avesse ravvisato delle illegalità nella campagna pubblicitaria di Philipp Plein e di quantificare "il numero di abusi sulle donne e sui bambini commessi negli ultimi anni da stranieri e da richiedenti d’asilo".
A questi quesiti ha recentemente risposto il Consiglio di Stato, non prima di aver ribadito la condanna “con forza di ogni forma di violenza, compresa quella diretta contro le donne”. Il Dipartimento delle istituzioni (DI), a complemento delle misure già in vigore, sta compiendo per il tramite della Divisione della giustizia degli approfondimenti volti all’implementazione in Ticino della Convenzione di Istanbul nonché della Legge federale per migliorare la protezione delle vittime di violenza. Contestualmente a tali riflessioni, il DI sta elaborando un progetto di legge sul tema, con il coinvolgimento della Commissione di accompagnamento permanente in materia di violenza domestica.
Rispondendo ai tre quesiti sollevati da Ortelli, Robbiani e Campana il Consiglio di Stato ha rammentato che “l’omicidio in tutte le sue forme come anche l’istigazione a commettere tali reati è un reato perseguito d’ufficio”. È quindi il Ministero pubblico ad intervenire se ravvisa un reato di quella natura. Se non vi è reato, “sono le libertà fondamentali (per esempio, la libertà economica e la libertà di espressione) a consentire tali pubblicità, a meno che disposizioni specifiche della legislazione cantonale o comunale (per esempio, la legge sugli impianti pubblicitari) pongano ulteriori restrizioni”. Sarebbe di conseguenza “problematico” per il Consiglio di Stato “stigmatizzare i comportamenti qualora questi siano leciti”.
Riguardo al tema delle restrizioni alla pubblicità, il Governo ha ricordato che vi sono alcune considerazioni nel Messaggio aggiuntivo n. 6934 A del 4 novembre 2015 concernente la Revisione totale della Legge sulla prostituzione, secondo cui un divieto deve avere una base legale sufficiente, perseguire un interesse pubblico e rispettare il principio della proporzionalità. “In quest’ottica va tenuto conto di eventuali regolamentazioni comunali che vietino determinati tipi di affissione”.
Infine, per quel che riguarda la domanda sul numero di abusi sulle donne e sui bambini “commessi negli ultimi anni da stranieri e da richiedenti d’asilo”, il Consiglio di Stato ha affermato che “non è possibile fornire una risposta poiché il quesito posto non specifica né il genere di abusi né un periodo di tempo preciso”. Inoltre “non è informaticamente possibile distinguere se l’autore e le vittime siano svizzeri o stranieri”.
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