
“Settimana scorsa sono andato a trovare un conoscente all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio e ho notato che in una camera singola era stazionato un richiedente l’asilo, in isolamento in quanto affetto da tubercolosi. Purtroppo però ho notato che con lui erano presenti degli amici, che non indossavano le mascherine e che fumavano, malgrado sia proibito fumare in camera.” Comincia così l’allarme lanciato da un nostro lettore, che parla poi di frequenti andirivieni, spesso senza protezioni, da quella che doveva essere una camera di isolamento. “Il piano in questione è regolarmente frequentato da visitatori, tra cui molti bambini. Mi chiedo, come cittadino: come mai non vengono applicate misure di sicurezza preventiva per questi soggetti? Nessuno si preoccupa del potenziale rischio che la malattia si diffonda e colpisca altri pazienti? E se non è così, a cosa serve allora la camera singola in isolamento?” Domande più che legittime, quelle del nostro lettore. Chiunque proverebbe un po’ di apprensione nel sapere che un paziente tenuto in isolamento per tubercolosi possa così facilmente ignorare le più elementari norme di sicurezza ed entrare in contatto con altri pazienti e con i visitatori, mettendone a repentaglio la salute. La tubercolosi, infatti, è una malattia fortemente contagiosa. “È vero, all’Ospedale Beata Vergine settimana scorsa c’era un richiedente l’asilo georgiano tenuto in isolamento in quanto fortemente sospettato di avere la tubercolosi” ci spiega Carlo Balmelli, responsabile per la prevenzione dalle infezioni all'Ente ospedaliero cantonale ticinese. “Si trovava in una camera cosiddetta “aerosol”, con tutte le porte chiuse. Il personale dell’ospedale che vi entra deve indossare una mascherina ultra-filtrante, mentre lui, ovviamente, non può uscire dalla stanza. Sulla cui porta vi è un cartello inequivocabile che avverte dei pericoli.” E il richiedente l’asilo in questione, l’isolamento l’ha rispettato in modo esemplare. “Il problema è che allo stesso tempo si trovavano in ospedale altri cinque richiedenti l’asilo” prosegue Balmelli. “E tra di loro usano fare comitiva. Per cui i suoi amici, incuranti degli avvertimenti, sono entrati comunque nella stanza per fargli compagnia.” Ed è questo l’andirivieni che ha comprensibilmente allarmato il nostro lettore. Un andirivieni che è stato comunque prontamente interrotto dal personale infermieristico dell’ospedale. “Ovviamente i nostri dipendenti non possono essere sempre dappertutto. Ma, una volta accortisi del capannello formatosi nella stanza, hanno avvisato i richiedenti l’asilo sui pericoli corsi e, da allora, tutti hanno sempre indossato le apposite mascherine”. Si è trattato quindi di una momentanea situazione di pericolo, scongiurata appena possibile. E scongiurata ancor più dal fatto che, alla fine, si è scoperto che la malattia del richiedente l’asilo in isolamento non era la tubercolosi, bensì un’altra, non contagiosa. Infatti pochi giorni dopo il paziente ha già potuto essere dimesso. Di casi di tubercolosi, comunque, se ne registrano una quindicina all’anno, in Ticino. Tutti tra richiedenti l’asilo o persone recentemente immigrate, dato che nella popolazione residente la malattia è stata ormai debellata. L’EOC assicura però che non è mai successo che la tubercolosi si diffondesse all’interno di un ospedale. “Le norme di sicurezza funzionano bene e nella grande maggioranza dei casi vengono ottemperate dalle persone interessate. Può capitare che qualcuno le infranga, magari anche solo per ignoranza, ma come EOC prestiamo la massima attenzione ad evitare che qualsiasi batterio resistente agli antibiotici possa circolare in ospedale.” AS
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