Polizia
Alla Fedpol manca personale, Lepori: "Vanno potenziati tutti gli anelli della catena"
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Redazione
2 anni fa
La direttrice dell'Ufficio federale di polizia, Nicoletta della Valle, chiede più risorse: "manca personale per combattere efficacemente la criminalità organizzata e il terrorismo". Alla fedpol mancano infatti circa 200 investigatori. A Ticinonews ne abbiamo parlato con Francesco Lepori.

La Fedpol sta vivendo una carenza di personale, per essere precisi servono almeno 200 collaboratori. L’allarme è arrivato ieri mattina dalla direttrice dell’Ufficio federale della polizia Nicoletta Della Valle. Un problema, quello della carenza di personale, che potrebbe spianare la strada alla criminalità organizzata. Sul Tages-Anzeiger si leggeva infatti la citazione “i mafiosi in Svizzera si sentono al sicuro, è una cosa da cambiare”. Una problematica seria che abbiamo deciso di approfondire a Ticinonews con Francesco Lepori, responsabile operativo dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata che ci ha confermato che “manca personale: sia in ragione dei casi, sia in riferimento alla complessità delle inchieste”.

Il ruolo della tecnologia

La complessità delle inchieste attuali è infatti “cresciuta nel corso degli anni, anche a causa della tecnologia che viene sfruttata sempre di più dalla ‘ndrangheta – o almeno dagli esponenti della nuova generazione – soprattutto nel campo delle comunicazioni criptate”. Lepori ci ha poi spiegato che, a prova di questo, ci sono anche diverse inchieste legate alla Svizzera. “Lo stesso discorso vale per la Procura federale, anch’essa sottodotata. Ma è impensabile ipotizzare un potenziamento di un anello della catena penale – in questo caso la Fedpol – senza potenziare gli altri, perché si creerebbe il cosiddetto effetto imbuto”.

Collaborazione a livello amministrativo…

Se da un lato manca il personale, questo ha però bisogno di strumenti: nella lotta alla criminalità parliamo di dispositivi organizzativi e legali per favorire la collaborazione tra Cantoni, così come articoli di legge ad hoc. Nicoletta Della Valle è però preoccupata anche su questo punto. “Non basta avere i mezzi”, sottolinea Lepori, “bisogna anche gestirli”. In questo senso la collaborazione “è fondamentale sia nel penale che nell’amministrativo. Se parliamo di collaborazione Cantoni-Confederazione gli strumenti ci sono, come ad esempio la piattaforma interdisciplinare, ma non bisogna ridurli a un esercizio di stile”. Facendo invece riferimento alla collaborazione intercantonale – già evidenziata da Della Valle e ancor prima dal Procuratore generale della Confederazione - “il Ticino si sta già muovendo: a dicembre 2021 il deputato Matteo Quadranti ha inoltrato una mozione in cui chiede di istituire un pool cantonale antimafia”. Un ente, questo, capace di raggruppare tutti gli attori attivi sul territorio “per agevolare lo scambio di informazioni”.

… e a livello penale

Quanto agli strumenti legislativi presenti nel penale Lepori sostiene che  “si potrebbe, e si dovrebbe, fare di più”. A titolo d’esempio cita l’articolo 263, ovvero il reato di organizzazione criminale, entrato in vigore nel 2021: “questo ha sicuramente inasprito le pene, ma non ha demolito il principio della sussidiarietà tra reato associativo e fine, continuando così a complicare particolarmente l’azione delle autorità di perseguimento penale”. Ma c’è anche l’articolo 72 sulla confisca dei valori patrimoniali delle organizzazioni criminali, “ma in questo senso una proposta di revisione fu bocciata una decina di anni fa. Infine c’è l’articolo 102, sulla responsabilità dell’impresa”.

Mafiosi in Svizzera

Un altro strumento è poi rappresentato dall’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata, il cui compito è quello di promuovere la conoscenza della criminalità organizzata in Svizzera, dove si parla di una presenza discreta, con il possibile sbaglio di confondere i mafiosi per persone a modo. Come mai questo accade? E come sono i mafiosi in Svizzera? “In Ticino la mafia è radicata a partire almeno dagli anni '70. Qui da noi c'è infatti più consapevolezza rispetto alla Svizzera interna, dove il problema è però maggiormente presente”. Le regioni in cui si concentra il potere finanziario della Confederazione – come ad esempio Basilea, Zurigo e San Gallo – “sono quelle che hanno una maggiore densità mafiosa”. In queste regioni si continua però, anche a livello istituzionale, “a sottovalutare il fenomeno, fino a rasentare il negazionismo, anche davanti a casi clamorosi come l’operazione a Frauenfeld del 2014 con anche i filmati, in cui si vedevano discutere alcuni membri della ‘ndrangheta locale, dove ricordavano che erano attivi da decenni nel trasporto di droga”. La loro presenza viene chiamata dai sociologi “mimetismo sociale: un tempo un mafioso siciliano poteva arrivare in Svizzera senza preoccuparsi di nascondere le sue richieste; un ‘ndranghestista tiene invece un profilo basso, fa mestieri ordinari ed elargisce donazioni alla comunità. Inoltre, non ricorre alla violenza se non all’intero della sua comunità di riferimento, in quanto verrebbe a crearsi un allarme sociale che ne ostacolerebbe le attività”. Fare finta di niente non fa altro che alimentare l’illusione “che la mafia da noi non esiste o che è un fenomeno isolato e sotto controllo, quando invece sappiamo bene che non è così, come annunciato anche dalle stesse autorità federali”, ha concluso Lepori.