Ticino
Agenti di sicurezza privati: “La prassi è legale”
Lara Sargenti
4 anni fa
Il DI fa alcune precisazioni in merito all’interpellanza MPS sul mancato rinnovo dei permessi ai lavoratori frontalieri nel settore della sicurezza: “Stiamo cercando il dialogo con le autorità italiane”

La prassi messa in atto dal Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata della Polizia cantonale è “conforme al diritto” e garantisce “l’equità di trattamento”. Lo ribadisce il Dipartimento delle istituzioni a margine della risposta fornita dal Consiglio di Stato a un’interpellanza dell’MPS, in cui si denunciava “un grave abuso dello stato di diritto” nei confronti dei lavoratori stranieri nel settore della sicurezza.

La vicenda

Con una lettera inviata il 16 settembre dal Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata della Polizia cantonale alle agenzie di sicurezza e d’investigazione si comunicava che “fino a nuovo avviso non verranno rilasciate o rinnovate autorizzazioni Lapis a lavoratori con permesso G o B residenti in Ticino da meno di 5 anni”. Il problema, veniva spiegato, risiede nel fatto che “le Autorità italiane non ci forniscono più le informazioni di Polizia necessarie per poter stabilire se i richiedenti sono in possesso di tutti i requisiti”. E ancora: “considerato che per le richieste di lavoratori indigeni vengono effettuati accertamenti approfonditi, l’assenza di tali informazioni riguardanti personale straniero si traduce in una chiara disparità di trattamento e pertanto non ci consente di poter rilasciare le relative autorizzazioni”.

Ma per l’MPS si tratta di una decisione “drastica” quanto “illegale” visto che la legge e il suo regolamento fissano gli stessi requisiti per i lavoratori indigeni o stranieri. Anzi, sottolinea l’MPS, “per quest’ultimi sono richiesti dei documenti supplementari (quelli rilasciati dal loro paese di residenza/provenienza). E la legge ticinese non richiede nessuna “informazione di Polizia” trasmessa dalle Autorità italiane. Per quanto è dato sapere, le autorità italiane preposte al rilascio del certificato comprovante l’inesistenza di procedure fallimentari a carico del richiedente, come anche il certificato del casellario giudiziale e l’estratto dei carichi penali pendenti non hanno assolutamente cessato di rilasciare questi documenti”.

Critiche sono giunte anche dal sindacato UNIA, secondo cui non vi è stato alcun cambiamento di procedura da parte italiana. Per il sindacato, che ha chiesto l’immediato ritiro della prassi perché, se confermata, “metterebbe a rischio decine di posti di lavoro in Ticino”, si tratta dunque di una “decisione politica del capo del dipartimento Norman Gobbi”.

Le precisazioni del Dipartimento
In una nota odierna, il Dipartimento delle Istituzioni fornisce ulteriori precisazioni. “Contrariamente a quanto sostenuto degli interpellanti, la decisione (temporanea) di non rilasciare autorizzazioni ai cittadini italiani, risiede nel fatto che l’autorità ticinese è impossibilitata a verificare il possesso di uno dei requisiti posti dalla legge, conformemente al diritto e alla giurisprudenza. Ciò, oltre a perseguire gli scopi di legge, assicura la parità di trattamento: si vuole evitare che un cittadino italiano possa ricevere l’autorizzazione solo perché il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata non ha accesso alle informazioni necessarie, verifiche che, invece, avvengono sui cittadini svizzeri. La Legge sulle attività private di investigazione e sorveglianza evidenzia come le persone che desiderano lavorare in questo contesto debbano dimostrare “buona condotta”. Per la verifica di tutti i requisiti necessari è fondamentale poter accedere alle banche dati di polizia, poiché le informazioni contenute nell’estratto del casellario giudiziale e/o nell’estratto dei carichi pendenti non sono sufficienti a dimostrare l’idoneità della persona”.

“Per gli istanti residenti in Svizzera (siano essi svizzeri o stranieri, residenti ininterrottamente da più di 5 anni) le informazioni sono già in possesso del Servizio, mentre per i cittadini italiani (siano essi residenti in Italia o residenti in Svizzera da meno di 5 anni) dall’inizio di quest’anno il Centro di cooperazione di Polizia e Doganale di Chiasso (CCPD) non fornisce più le informazioni” prosegue il DI. “Questo cambiamento è legato a un’interpretazione sui limiti dell’Accordo internazionale in vigore che mette in difficoltà la Dirigenza italiana del CCPD, impedendo loro di trasmettere le informazioni richieste dal Servizio. A questo riguardo, si sottolinea che già da alcuni mesi il Dipartimento delle istituzioni e i funzionari del Servizio stanno cercando un dialogo con l’autorità italiana per cercare di risolvere la situazione nell’interesse, in primis, dei cittadini italiani”.

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