Ticino
9 febbraio, 3 anni dopo. Ma è davvero finita?
9 febbraio, 3 anni dopo. Ma è davvero finita?
9 febbraio, 3 anni dopo. Ma è davvero finita?
Redazione
8 anni fa
Sono passati 1'096 giorni dal voto popolare. Vediamo com'è andata

Sono passati esattamente tre anni dalla votazione popolare sull’iniziativa popolare UDC “Contro l’immigrazione di massa”. Il 9 febbraio 2014 il popolo svizzero approvò il testo con il 50,3% dei consensi contro il 49,7% di no. Con il 56%, si registrò la più alta partecipazione degli ultimi anni. L’iniziativa fu accettata da 17 cantoni e respinta da 9 (tutti i cantoni francofoni e i cantoni di Basilea Città, Zurigo e Zugo), creando un evidente fossato linguistico.

L'iniziativa, ricordiamo, stabilisce che entro tre anni la Confederazione deve fissare dei tetti massimi per i permessi di dimora e contingenti annuali per tutti gli stranieri, mentre sul mercato del lavoro la preferenza dovrebbe essere data agli svizzeri. I trattati internazionali contrari a queste regole, come l’Accordo di libera circolazione delle persone con l’Unione europea, "dovranno essere rinegoziati". In sostanza, un applicazione alla lettera avrebbe comportato la fine della libera circolazione e probabilmente anche quella dei Bilaterali.

Il dibattito politico si è subito infiammato, in particolare alle nostre latitudini. Il Ticino ha infatti approvato l’iniziativa con il 68,2% dei consensi contro il 31,8% dei no (la partecipazione al voto è stata in linea con la media nazionale attestandosi al 57.08%).

Particolarmente intenso l'ultimo anno di lavori parlamentari, che ha infine visto approvare dalle camere una soluzione di compromesso. Ma il cammino è stato decisamente lungo e travagliato: quasi a voler sottolineare la spaccatura creatasi tra l’elettorato confederato, il 27 ottobre 2015 è stata depositata l’iniziativa RASA ("Raus aus der Sackgasse", ossia "Fuori dal vicolo cieco"), che mira ad abrogare dalla Costituzione federale le disposizioni previste dall'iniziativa democentrista.

Compromesso o clausola ticinese?

Un anno fa, nel marzo 2016, il Consiglio federale si era detto intenzionato a limitare, superato un determinato valore soglia, l'immigrazione dai Paesi Ue e dell'Associazione di libero scambio (Aels) mediante l'attivazione unilaterale di una clausola di salvaguardia e l'adozione di tetti massimi, precisando però che la Confederazione intende comunque giungere ad un accordo con l'Unione europea per preservare la via bilaterale. Ma una soluzione di compromesso con l’UE, che a più riprese aveva annunciato di non voler fare concessioni sui bilaterali, è da subito apparsa come una via decisamente impervia da percorrere. A complicare i piani anche la Brexit, che ha costretto Bruxelles sulla difensiva.

Praticamente sfumata la soluzione consensuale con l’UE sull’applicazione del 9 febbraio (il piano A), sul tavolo delle trattative era rimasto il piano B (la clausola unilaterale, il cosiddetto modello "bottom-up", che il professor Michael Ambühl ha elaborato per il canton Ticino), ma anche questa via è ben presto apparsa politicamente inattuabile in quanto avrebbe messo in pericolo gli accordi bilaterali. In attesa dei lavori parlamentari, all’orizzonte è spuntato anche un piano C: il controprogetto all’iniziativa RASA.

Il compromesso “light” del Nazionale

La Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale si è pronunciata lo scorso 2 settembre in favore una soluzione che non prevede quote o contingenti (voluti invece dall’UDC), ma che permette di adottare misure correttive non appena l'immigrazione oltrepassa un certo livello su scala regionale o nazionale.

La proposta, accolta con 16 voti contro 9, prevede che il Consiglio federale elabori delle misure per sfruttare il potenziale di manodopera indigena e prevede delle soglie a partire dalle quali potrà essere introdotto un obbligo di comunicazione dei posti di lavoro vacanti. Se queste misure non si rivelassero sufficienti e l'immigrazione dall'Unione europea e dall'AELS superasse un certo livello sul piano regionale o nazionale, l'esecutivo potrà ricorrere a misure correttive appropriate. Qualora queste misure non dovessero risultare compatibili con l'accordo sulla libera circolazione delle persone, dovranno essere discusse da un comitato misto Svizzera/Ue. La soluzione, per usare un eufemismo, non ha fatto l’unanimità e il deputato UDC Roger Köppel, dalle colonne della Weltwoche, aveva tuonato contro i membri della commissione definendoli dei “sabotatori”.

Da “heavy” a “un po’meno light”

Il dossier è quindi passato agli Stati. A ottobre la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati ha iniziato i lavori con l’intento di rendere un po’ più incisiva la versione approvata dalla Camera bassa. Il liberale radicale Philipp Müller avava proposto l’introduzione di un colloquio di lavoro obbligatorio in caso di forte disoccupazione tra le aziende e i candidati svizzeri che hanno fatto domanda d'impiego, giustificando una mancata assunzione. Una soluzione ‘ad hoc’ per il Ticino, caldeggiata da Filippo Lombardi (PPD), è stata invece respinta. A dicembre il dossier è tornato al Nazionale, che ha deciso di togliere l’obbligo di giustificare una mancata assunzione. 

La fine dei lavori

Il 16 dicembre Parlamento federale ha infine optato per la versione Müller “corretta”. Con 89 voti contro 67 (33 astensioni) la camera bassa ha definitivamente approvato la legge d'applicazione dell'iniziativa UDC "contro l'immigrazione di massa", mentre gli Stati l'hanno approvata con 24 voti contro 5 e 13 astensioni. La legislazione d'applicazione dell'iniziativa contro l'immigrazione di massa è stata elaborata sotto forma di revisione della Legge federale sugli stranieri che intende limitare l'immigrazione dai paesi europei incitando i datori di lavoro a reclutare disoccupati piuttosto che ricorrere a manodopera estera.

L’esito ha di fatto scontentato l’UDC, con il capogruppo Adrian Amstutz che ha apertamemnte parlato di "capitolazione davanti all'UE". Anche il PPD aveva espresso le proprie perplessità mentre gli altri schieramenti politici si sono detti soddisfatti dall'esito della votazione.

Sotto la lente dell’UE

In questi tre anni Bruxelles ha seguito con attenzione l’evolversi dei lavori parlamentari. L’UE aveva infatti più volte ripetuto che non avrebbe fatto alcuna concessione sui bilaterali o sulla libera circolazione, bloccando de facto diverse possibili alternative. A lavori ultimati, lo polemiche non si sono però placate e a gettare benzina sul fuoco ci hanno pensato le dichiarazioni della portavoce della Commissione europea Mina Andreeva: “Si può dire che la Commissione europea ha fin qui accompagnato i lavori parlamentari sul 9 febbraio, dirigendoli un po’ per assicurarsi che prendessero la giusta direzione”.

Il controprogetto a RASA

Archiviato o quasi il 9 febbraio, resta aperta l’iniziativa RASA. Il Consiglio federale, respingendola, ha proposto lo scorso dicembre due varianti di controprogetto: regolazione dell'immigrazione nella Costituzione e mantenimento degli accordi bilaterali.

La prima variante prevede la sostituzione dell'articolo costituzionale 121a con una disposizione secondo cui la regolazione dell'immigrazione deve tener conto degli accordi internazionali di grande importanza per la posizione della Svizzera in Europa. Verrebbe inoltre abrogata la disposizione transitoria, prevista dall'iniziativa "contro l'immigrazione di massa", in base alla quale i trattati contrari alla Costituzione devono essere rinegoziati e adeguati entro tre anni. La seconda variante si limita a stralciare quest'ultima disposizione. Nei due casi, il mandato di gestione dell'immigrazione sarà mantenuto, così come gli accordi bilaterali con l'UE. Il Consiglio federale trasmetterà il suo controprogetto il prossimo 27 aprile.

Il referendum di Stojanovic

Tutto finito? Macché. Il 29 dicembre scorso il politologo ed ex deputato socialista Nenad Stojanovic ha infatti lanciato un referendum contro la legge di applicazione del 9 febbraio, ritenendo che una votazione popolare sarebbe la soluzione più auspicabile e necessaria, "altrimenti l'UDC potrebbe lamentarsi per anni del fatto che la volontà popolare non sia stata rispettata".

La scorsa settimana il PPD ticinese aveva annunciato il proprio sostegno al referendum e l'intenzione di proporre al Gran Consiglio un referendum dei Cantoni. L’UDC, che in prima battuta si era detta contraria, ha deciso di offrire "un appoggio condizionato" ai popolari democratici.

Ci potrebbero volere altri tre anni

Il Consiglio federale redigerà oggi un'ordinanza di esecuzione nella quale non ci saranno tetti massimi e contingenti. Si tratta di uno scenario che non soddisfa per nulla l'UDC nazionale, che aveva già annunciato di voler lanciare un'iniziativa popolare per disdire l'accordo di libera circolazione delle persone concluso con l'UE se il Governo non dovesse applicare alla lettera il testo dell'iniziativa.

Uno scenario che unito alle incognite legate all'iniziativa RASA e al referendum di Stojanovic lascia intendere che potrebbero volerci ancora anni prima di poter stabilire definitivamente se la Svizzera dovrà dare la precedenza ai Bilaterali oppure a una parziale limitazione all'immigrazione.

E se il 9 febbraio fosse una 'bufala'?

Potevamo terminare questa lunga carrellata senza una vana polemica in salsa ticinese? Ovviamente no, e tra mille dibattiti, prese di posizione e comunicati vari abbiamo scelto la 'sparata' dell'ex consigliere nazionale UDC Pierre Rusconi, secondo cui l'iniziativa del 2014 fu "una campagna mediatica, con risultato a sorpresa".

“Certo, si conoscevano già prima le difficoltà, l’UDC ha lanciato la campagna perché era mediaticamente importante e per dare un segnale al Consiglio Federale. Poi a sorpresa ha vinto. Personalmente non è che non ero d’accordo, ma credo che la sostanza poteva essere mediata in altro modo".

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