Anniversari
40 anni della Compagnia Finzi Pasca: "Tanti i momenti che mi hanno reso fiero"
©Gabriele Putzu
©Gabriele Putzu
Ginevra Benzi
2 anni fa
Con il fondatore della compagnia teatrale Daniele Finzi Pasca parliamo delle emozioni vissute in questo lungo viaggio che ha portato al traguardo dei 40 anni e dei progetti futuri: "Per me è una festa intima. I quarant'anni di attività che presenteremo in questi giorni serviranno anche per raccontare i prossimi dieci".

Il viaggio intrapreso da Daniele Finzi Pasca nel mondo del teatro è giunto al suo quarantesimo anniversario. Si alza quindi un importante sipario per l’omonima Compagnia teatrale, che dal 1983 disegna un modo di vivere e di viaggiare insieme. Quarant’anni in cui i membri della Compagnia hanno avuto modo di crescere, allargarsi e incontrare figure chiave del mondo dello spettacolo. Un’attività che negli anni non ha mai perso la sua essenza, i suoi valori e la sua attrattività. Il quarantesimo anniversario ne è la conferma e abbiamo deciso di parlarne direttamente con il fondatore Daniele Finzi Pasca.

40 anni sono tanti: quali sono le tue sensazioni per questo importante traguardo?
"Per me è una festa intima, è bello ricapitolare con gli amici. Quarant’anni nel mondo del teatro, ma non solo, hanno fatto sì che ora noi siamo riconosciuti come una compagnia teatrale con una storia alle spalle e con alcuni membri presenti fin dall’inizio. Questi quarant’anni di viaggio insieme per me si traducono in tanti ricordi, ma penso in particolare alla persistenza: stare insieme tutto questo tempo significa che c’è una vera e propria passione per quello che facciamo. Quello che stiamo preparando per presentare i passati quattro decenni servirà anche per raccontare cosa faremo nei prossimi dieci".

Sono previste celebrazioni particolari per l'anniversario?
"Sì, a Lugano ci sono tanti teatri che ci accoglieranno per festeggiarci. In questi giorni riprenderemo uno spettacolo molto particolare e a cui siamo davvero molto affezionati: Luna Park. In pieno periodo Covid avevamo pensato - contrariamente ad altri che hanno deciso di sbarcare nel mondo del video – a uno spettacolo immersivo, quasi in contraddizione rispetto a quanto si poteva fare in quel momento. A Lugano questo spettacolo ha avuto un successo strepitoso e quindi oggi lo stiamo rivisitando. Nei prossimi giorni lo porteremo al LAC. Ci sarà poi anche il libro di Viviana Cangialosi sui nostri 40 anni, in cui è possibile vedere le fotografie di noi agli inizi, per poi arrivare al presente. È un libro carico di affetto per la nostra storia. Ci saranno inoltre delle mostre, sempre al LAC, così come altre iniziative per permettere al pubblico ticinese di abbracciarci".

Parlaci di questo Luna Park, di cosa si tratta?
"Per prima cosa vorrei dire che il nostro Luna Park è stato ripreso e copiato da un sacco di altre compagnie ed è per questo che abbiamo deciso di riproporlo e di farlo rinascere dopo la pandemia. Si tratta di uno spettacolo in cui, in sole 2h30, si concentra tutto quello che facciamo. È un modo per viaggiare all’interno di una facciata del mondo dello spettacolo, che lo spettatore non conosce: si entra quindi dalla porta principale e si va dietro le quinte, con un tragitto in cui gli attori raccontano una storia ad un pubblico che possiamo definire immaginario e in cui non c’è una distanza fisica tra attori/attrici e pubblico. È un’esperienza sensoriale molto particolare, come un giro di giostra. La prima volta c’erano addirittura persone che si sono rimesse in fila per rivivere lo spettacolo, e per noi è stato molto particolare assistere a tutto ciò. Luna Park è uno spettacolo a cui sono molto affezionato, anche perché non assomiglia a nulla di mai fatto prima alle nostre latitudini, e che ha, come detto, influenzato tanti altri teatri come quello di San Paolo. È uno spettacolo all’insegna della leggerezza, proprio come un Luna Park. Da lì il nome".

Quali sono le opere o i momenti di cui vai più fiero?
"Nella vita di un artista, così come in quella di chiunque, ci sono dei momenti chiave. Anche la Compagnia ne ha avuti, come ad esempio quegli incontri che ci hanno dato uno slancio particolare. Collaborare, ad esempio, con il Cirque du Soleil o alla English National Opera per dirigere un’opera lirica, che per me è un luogo davvero magico, sono solo due esempi di esperienze di cui vado molto fiero. Da ragazzo non mi sarei mai immaginato di essere invitato con gli onori del caso; sono quindi tanti i momenti, tutti diversi gli uni dagli altri. Alla fine di ogni spettacolo “Icaro”, capitava di fare incontri incredibili con persone che ho scoperto poi essere artisti, poeti, politici. Non avrei mai immaginato di stare nel mio camerino e dare la mano a persone che hanno lasciato un segno nella mia vita. Con loro ho avuto occasione di parlare e riflettere sul futuro, così come inventare opere insieme. Sono stati quindi davvero tanti i momenti che mi hanno reso fiero".

C'è qualcosa invece che faresti in modo diverso?
"Sì, in questo genere di attività c’è sempre una lunga svalangata di “se”. Ci sono stati errori che alla fine si sono rivelati buoni e che hanno portato al successo, ma succedeva in maniera casuale. Ci sono quindi sbagli che fanno scoprire cose inattese. Ci è successo con alcune soluzioni teatrali, certe innovazioni e scoperte che abbiamo introdotto, ma erano sempre casuali. Ci sono poi volte in cui ci si rendeva - e ci si rende tuttora - conto che si poteva fare meglio, che si poteva dare un taglio diverso, più corto, eccetera. È un continuo sbagliare e cercare di migliorarsi. “Potrei fare meglio” è una sorta di frase fissa che abbiamo nel teatro. Fare le cose con leggerezza è il centro di tutto però. Io ad esempio faccio fatica a visionare immagini o video di vecchi spettacoli sullo schermo, preferisco andare direttamente a teatro a rivederlo, per poi metterci la mano durante la notte e la mattina dopo. Si vive con i “se”, ma è la bellezza di questo lavoro. Dopo 42 anni continuo a sperare che lo spettacolo vada bene, è un continuo migliorarsi dove necessario".

Com'è cambiato il teatro in questi 40 anni?
"Si sono riaperti, ad esempio, dei teatri che erano spariti quando ero giovane, ma ne sono stati aperti e inventati anche di nuovi. Alle nostre latitudini c’è un panorama più eclettico, quindi significa che c’è grande passione e ci sono idee molto interessanti proposte dalle nuove generazioni. Il teatro è però fatto da una chimica molto costante: si ha davanti un pubblico che puoi gestire, ci sono e ci saranno sempre persone che hanno costantemente voglia di farsi raccontare storie, di esservi condotte all’interno. C’è poi una materia umana che sono gli interpreti, gli attori, che cercano di reinventare questo gioco, quello della rappresentazione della vita. Questa è una cosa strana, perché la realtà scenica è più forte della realtà stessa proprio perché i sogni sono più potenti della verità. Non a caso, il dialogo più profondo con noi stessi avviene la notte, dove riviviamo ricordi inventati o addirittura nascosti. Il teatro è intatto, cerca di migliorarsi, torna indietro e osserva il passato. Da noi, parlando proprio della struttura, questa ad oggi offre molto di più rispetto al passato: noi eravamo una giovanissima compagnia, e di compagnie teatrali nella Svizzera italiana ce n’erano davvero poche. Ora c’è invece un fermento molto grande e un continuo rinnovarsi. In questo senso il fermento è maggiore, più importante".

Quali incontri in questi 40 anni sono stati i più significativi per te?
"Quelli con i miei compagni di viaggio, ogni volta che ci incontriamo e decidiamo di lavorare insieme. Penso a tutti quelli che fanno parte della compagnia, il cui nucleo è formato da persone che da anni fanno ricerche e che mantengono viva la memoria della compagnia. Con questi compagni di viaggio ci siamo trovati, e chi conosce il teatro sa che sono legami molto forti, ma allo stesso tempo fragili, come una storia d’amore che sembra impossibile che finisca ma improvvisamente poi succede. Lo stare insieme da tanti anni e il percorrere insieme la strada con sogni diversi, ma che poi si uniscono, fa sì che quando ti guardi indietro, ti rendi conto della fortuna che hai avuto ad averle incontrate. Nel mio viaggio ho conosciuto persone talmente particolari che mi sento fortunato. Con loro lavoro, collaboro e danzo da anni, sono le persone fondamentali, le più importanti che ho incontrato".

Cosa riservano i prossimi 40 anni a Finzi Pasca?
"Prima ho accennato ai prossimi dieci anni e su questo posso aggiungere che la nostra voglia di continuare è intatta e vogliamo continuare a lavorare allo stesso modo e con le stesse persone. Non abbiamo dei piani, anche perché se li avessimo non andrebbero comunque come da programma".  

Oggi siamo indistruttibili. Questo lo impari solo navigando per mare e vivendo tempeste, stando con grandi equipaggi.

A un giovane talento ticinese che vuole buttarsi nel teatro che consiglio puoi dare?
"Scappa! Vai lontano. Bisogna conoscere, scoprire e uscire dal guscio, da una situazione di comodità oppure di difficoltà. C’è sicuro un grande fermento, ma lavorare nel nostro settore è molto difficile, già per noi. In base alla mia esperienza posso dire che partire ci ha infatti permesso (a me e ai primi membri della compagnia) di lavorare e conoscere personaggi importanti in giro per il mondo, facendo spesso fatica a remare e andare avanti. Questo però ci ha forgiato, ora siamo indistruttibili: oggi non ci ferma nessuno, e questo lo impari solo navigando per mare e vivendo tempeste, stando con grandi equipaggi".

Cosa ti ha ispirato a dare vita a un teatro che fa sognare?
"Io faccio spettacolo per un gruppo molto ristretto di persone: naturalmente per la mia famiglia e per alcuni amici del quartiere, sperando di vederli fieri di me e contenti di quanto ho fatto. Quindi lo faccio per un ristrettissimo gruppo di persone, per me sono solo loro il punto di riferimento. Se faccio un nuovo piatto sono loro che devono essere felici, sorpresi e contenti. Quindi è quello il mio riferimento".

Come riesci a mantenere questa magia? È il teatro che alimenta la magia della tua vita, o è la magia della tua vita ad alimentare il teatro?
"La vita è magica, surreale ed estremamente dolorosa. Noi che la raccontiamo dobbiamo quindi farlo con molta delicatezza e onestà, parola che rimanda a scelte alle quali uno è affezionato. Noi siamo un teatro della luce e della leggerezza, ma con questo non voglio dire che altri colleghi rappresentano il dramma come lo si vede nella vita con le sue lacerazioni. Noi siamo un gruppo di artisti che riunisce sempre persone che sanno che stiamo cercando di far rinascere, laddove possibile, la leggerezza, che è un termine delicatissimo: può essere inteso come “frivolo”, ma in realtà va inteso come un tipo di approccio usato, per esempio, quando si ha a che fare con un bambino che ha subito violenze e quindi non è di aiuto farglielo notare esplicitamente. Si tratta pertanto di cercare di trovare un senso a quanto gli è capitato, anche se non è semplice e noi non abbiamo risposte. Noi clown proviamo a rappresentare anche questi drammi, ma cercando di far meditare sulle ferite senza farle sparire e senza far dimenticare che la vita è un dramma. Bisogna saper raccontare le tragedie non tanto cercando di capirle, ma piuttosto cercando di darle un senso".