Svizzera
Slitta la sentenza del processo d’appello all’ “emiro di Winterthur”
Immagine CdT/Chiara Zocchetti
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Barbara Venneri
4 anni fa
Sarà annunciata per iscritto la sentenza al cosiddetto “emiro di Winterthur”. Il processo di appello si era aperto ieri mattina davanti al Tribunale penale federale

La Corte d’appello del Tribunale penale federale, su richiesta delle parti, ha deciso che la sentenza non sarà annunciata pubblicamente, ma sarà trasmessa per iscritto. L’imputato, ricordiamo, è un 35enne condannato nel settembre dello scorso anno a 50 mesi di detenzione da scontare perché coinvolto in un’organizzazione criminale e perché colpevole di rappresentazione di immagini violente. Contro la condanna avevano fatto appello sia l’imputato che il Ministero pubblico della Confederazione.

La posizione dell’MPC
Se al primo processo il Ministero pubblico aveva richiesto 42 mesi di carcere, ieri ha chiesto una condanna a 55 mesi da scontare. La procura federale, ora, chiede di riconoscerlo colpevole anche di partecipazione ad un’organizzazione criminale. Inoltre, l’MPC motiva la sua richiesta con l’apertura di due nuovi procedimenti penali nei confronti del 35enne: uno per la presunta riscossione illegale di aiuti sociali e l’altro in relazione all’acquisto di steroidi anabolizzanti. Per l’accusa, l’“emiro di Winterthur” si è recato in Siria nel 2013 ed era integrato in un’organizzazione parte della milizia del sedicente Stato Islamico. Una volta rientrato in Svizzera non avrebbe rinunciato a quell’ideologia. Anzi, ha diretto l’organizzazione “Lies”, che si è fatta conoscere nella Svizzera tedesca per la distribuzione gratuita del Corano in luoghi pubblici. Assieme al campione del mondo di boxe thailandese Valdet Gashi - poi morto in un combattimento nel luglio del 2015 - ha inoltre fondato la scuola di arti marziali “MMA Sunna” a Winterthur, attraverso la quale ha reclutato giovani pronti a partire per la Siria.

La posizione della difesa
Dal canto suo, la difesa si è battuta per l’assoluzione del 35enne, che pure si è appellato contro la condanna, criticando il Ministero pubblico per non aver concesso al suo assistito in più occasioni il diritto di essere sentito. L’ “emiro” si è definito un ex simpatizzante dell’Isis e ha dichiarato di rammaricarsene profondamente. L’uomo ha quindi espresso l’intenzione di ricostruirsi, fra molte difficoltà, una nuova vita. L’imputato è attualmente inabile al lavoro a causa di un disturbo da stress post-traumatico certificato da un medico. Malattia - ha detto l’imputato - che sarebbe stata causata dal tempo passato in detenzione preventiva. Ogni tentativo di trovare un lavoro è finora fallito, indipendentemente dalle sue condizioni di salute. Per questo, l’accusato ha dichiarato di dover far ricorso all’assistenza sociale.

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