Svizzera
Prestiti Mozambico, Credit Suisse e una ex dipendente alla sbarra
© CdT/Gabriele Putzu
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Ats
7 ore fa
L'istituto - nello specifico la subentrante UBS - è accusato di non aver adottato tutte le misure organizzative ragionevoli e necessarie per impedire il presunto riciclaggio di denaro.

Credit Suisse (CS) e una sua ex dipendente finiscono alla sbarra in relazione alle attività dell'istituto in Mozambico. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha promosso l'accusa contro la donna per sospetto riciclaggio di denaro, mentre alla banca viene rimproverato di non avere impedito il reato per carenze organizzative. Al centro dell'esposto - riferisce la procura federale in un comunicato odierno - vi è la chiusura di una relazione d'affari da parte di CS e i conseguenti trasferimenti all'estero di fondi presumibilmente provenienti da attività illecite, senza che l'istituto abbia allertato l'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio (MROS). La relazione consisteva in operazioni di credito, per un importo totale di oltre 2 miliardi di dollari, che Credit Suisse ha effettuato nel 2013 con tre imprese pubbliche mozambicane, e che nel 2016 sono diventate note come lo "scandalo dei prestiti del Mozambico".

La vicenda

In questo contesto, l'MPC ha avviato nel 2020 un primo procedimento penale, attualmente ancora in corso, nei confronti di due persone fisiche, per riciclaggio e complicità nella corruzione di pubblici ufficiali stranieri. Sulla base delle informazioni raccolte è partita una seconda inchiesta, che si è ora conclusa con la presentazione dell'atto d'accusa. In questo filone vi sono i rapporti tra CS e una società estera presumibilmente attiva nel settore della consulenza aziendale e della gestione patrimoniale, coinvolta nello scandalo. Nella primavera 2016 sono pervenuti sui conti dell'impresa presso CS in Svizzera fondi per un importo di circa 8 milioni di dollari, versati dal ministero dell'economia e delle finanze del paese africano, denaro che sarebbe frutto di corruzione. È poi partito un ordine di pagamento per 7 milioni verso conti negli Emirati Arabi Uniti. Questo movimento bancario ha indotto Credit Suisse ad avviare accertamenti: se ne è occupata una collaboratrice della divisione compliance, che ora è sotto processo. Secondo l'MPC, sebbene esistessero numerosi elementi che indicassero una possibile origine illecita dei fondi provenienti dal Mozambico, la dipendente ha consigliato alla direzione di Credit Suisse di non presentare alcuna segnalazione al MROS, ma piuttosto di chiudere la relazione d'affari.

Cosa si contesta 

Nell'ambito della chiusura, i fondi rimasti presso CS, oltre diverse centinaia di migliaia di dollari, sono stati trasferiti su conti all'estero. I procuratori federali contestano all'impiegata di CS di aver consentito a questo passo: in tal modo si è resa colpevole di riciclaggio, secondo l'MPC. Credit Suisse aveva presentato una segnalazione di sospetto al MROS solo nel 2019, dopo che il Dipartimento americano di giustizia (DOJ) aveva reso pubblico il procedimento penale relativo alle operazioni di credito in Mozambico. Credit Suisse - nello specifico la subentrante UBS - è da parte sua accusata di non aver adottato tutte le misure organizzative ragionevoli e necessarie per impedire il presunto riciclaggio di denaro nel periodo in questione. La società avrebbe presentato gravi carenze in materia di gestione dei rischi, di compliance e di direttive interne in materia di lotta al riciclaggio. UBS si trova così accusata di presunto riciclaggio di denaro a titolo di responsabilità penale dell'impresa.

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