
Dopo lo shock per i dazi al 39% e il viaggio "a vuoto" di Guy Parmelin e Karin Keller-Sutter, è tempo di leccarsi le ferite. Chi avrebbe dovuto mandare la Svizzera a trattare con Trump? Il 67enne Jürg Stäubli, intervistato dal Blick, conosce bene la situazione. Perché lui con il Presidente degli Stati Uniti ci ha trattato direttamente negli anni '90 per una negoziazione a nome di banche svizzere.
L’incontro verteva su come Trump dovesse ristrutturare i suoi debiti, scriveva all’epoca La Tribune de Genève. Dopo averli fatti attendere, Trump arrivò per presentare il suo piano di risanamento. Secondo il giornale, dovette fare concessioni e rinunciare, tra le altre cose, a una parte del suo stipendio.
Accarezzare l’ego
All'epoca Stäubli aveva subito capito che Trump è un negoziatore puro e che "rispetta solo interlocutori forti, verso i quali nutre - idealmente - una certa ammirazione e di conseguenza rispetto. Come accade, per esempio, con Vladimir Putin". Nel caso della Svizzera, prosegue Stäubli, la particolarità sta nel fatto che non conviene trattare con lui da pari a pari, "poiché ha un ego smisurato, bisogna accarezzarlo".
Psicologia della negoziazione
"Il giusto profilo di un negoziatore con Trump - spiega Stäubli - è quello di una persona ferma, ma senza atteggiarsi a maestrino. Trump vuole vincere, quindi bisogna fargli promesse. Per esempio, l’acquisto di petrolio e gas americani per un periodo prolungato. Una volta che non sarà più alla Casa Bianca, l’accordo potrà essere rivisto".
La presenza di Ermotti potrebbe fare la differenza
Nonostante tutto, Stäubli mantiene fiducia nell’amministrazione federale: "Credo davvero che la nostra segretaria di Stato Helene Budliger possa riuscire, grazie alle sue competenze. Ma solo se può agire e se sarà affiancata da una personalità che Trump rispetta, come ad esempio Sergio Ermotti, CEO di UBS".