
Nuova stretta di mano negata 'galeotta' Oltralpe. Come ricorderete, lo scorso luglio aveva suscitato molto scalpore la notizia di una coppia che si era vista respingere la domanda di naturalizzazione dopo essersi rifiutati di stringere la mano ai commissari, due consiglieri comunali e il municipale di Losanna Pierre-Antoine Hildbrand (vedi articolo suggerito). Ebbene, una vicenda analoga è emersa da una sentenza del Tribunale amministrativo federale (TAF) pubblicata oggi e che ha come protagonista una 30enne cittadina irachena, sposata con un cittadino elvetico naturalizzato una quindicina di anni fa, intenzionata a diventare svizzera.
La sua domanda di naturalizzazione agevolata, presentata nel gennaio di tre anni fa, era stata respinta a fine maggio 2016 dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM). I funzionari si erano basati su un rapporto del Servizio della popolazione vodese secondo cui i coniugi, disoccupati, avevano beneficiato di quasi 315'000 franchi di aiuti sociali (Revenu d'insertion). Nel motivare la sua decisione la SEM aveva pure evidenziato come la donna avesse appunto rifiutato stringere la mano a un funzionario del Servizio cantonale delle naturalizzazioni che la stava interrogando sul suo livello di integrazione in Svizzera.
La SEM le aveva quindi concesso la possibilità di ritirare la domanda visto il probabile insuccesso, ma la 30enne aveva contestato l’assenza di integrazione. A suo dire la mancata stretta di mano era da intendersi come un "segno di rispetto" nei confronti del funzionario. Tesi che la SEM aveva però rigettato, negandole la naturalizzazione agevolata nel settembre 2017.
Adito su ricorso a inizio gennaio 2018, anche il TAF non ha potuto far altro che confermare la decisione dell’autorità inferiore. A pesare, come prevedibile, anche il suo rifiuto nello stringere la mano al funzionario. “Il fatto che la ricorrente non abbia dato la mano alla persona che la stava interrogando sula sua integrazione in Svizzera non deve essere relativizzato”, si legge nelle sentenza dell’8 maggio scorso. Per la Corte un tale comportamento “è estraneo alle usanze e alle tradizioni svizzere” e nonostante la donna possa vantare un comportamento irreprensibile sul piano penale, “non vi sono elementi tali da ritenerla sufficientemente integrata a livello socioculturale”.
(Sentenza F-256/2018 dell'8 maggio 2019)
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