
Non sono tempi facili per Credit Suisse. Il secondo istituto di credito elvetico attraversa uno scandalo dietro l’altro. Nell’ambito di un’inchiesta giornalistica internazionale conosciuta come “Suisse Secrets”, diverse testate accusano la banca di avere accettato per anni come clienti trafficanti di droga, dittatori, nonché presunti criminali di guerra e trafficanti di esseri umani. Le accuse sono state respinte dalla banca, ma si tratta di un ulteriore duro colpo alla sua reputazione.
Attacco a un concorrente
Secondo il giornalista economico Alfonso Tuor, tuttavia, queste accuse sono in realtà soprattutto un “attacco alla piazza finanziaria svizzera, con il quale si va a colpire una banca già in difficoltà a causa delle perdite incorse nelle transazioni con il fondo Archegos e dei problemi con Greensill, una società rivelatasi una grande truffa”. A finire nel mirino, secondo Tuor, è l’intero “mondo bancario elvetico, soprattutto sulla sua gestione patrimoniale, settore verso il quale tutte le banche, a livello mondiale, si stanno indirizzando”. La gestione patrimoniale è storicamente un punto di forza della piazza finanziaria svizzera, “fra i leader in questo settore: indebolirla piace molto alle banche americane e britanniche. Attaccare la Svizzera significa attaccare un concorrente: non si tratta della volontà di fare pulizia nel sistema finanziario”.
Un “mezzuccio”
Le critiche a Credit Suisse formulate nell’inchiesta giornalistica potrebbero quindi essere solo un “mezzuccio all’interno di una guerra economica”, commenta Tuor. “È probabile che ci siano state alcune lacune da parte di Credit Suisse, ma io guardo sempre con molto sospetto a questi attacchi generalizzati, chiedendomi chi li abbia realmente fomentati”.
Lavoro esteso
L’inchiesta “Suisse Secrets” è frutto del lavoro comune di 48 testate provenienti da 39 Paesi: “Nei 18’000 nomi oggetto dell’inchiesta c’è infatti una rappresentazione molto ampia delle nazionalità del pianeta ed era necessario fare lavoro di squadra per chiarire sul campo una serie di vicende che non potevano essere affrontate unicamente dai giornalisti della Süddeutsche Zeitung”, spiega a Ticinonews Gianluca Paolucci, vicecaporedattore de’ La Stampa, quotidiano italiano che ha partecipato all’inchiesta.
“Nessuna volontà di colpire la Svizzera”
Indirettamente, Paolucci risponde a Tuor sulle reali motivazioni che una “talpa” avrebbe avuto nel divulgare informazioni compromettenti sulla banca: “Dopo questo primo ‘whistleblower’ ne abbiamo trovati molti altri. È probabile che ognuno avesse le proprie motivazioni, ma credo che queste passino in secondo piano visto l’alto numero di persone disposte a parlare”. “Non abbiamo mai avuto intenzione di colpire la piazza finanziaria svizzera, ma solo smascherare certi comportamenti che vanno al di là del fatto che la banca fosse svizzera”, precisa Paolucci. “Se Credit Suisse fosse stata in un altro Paese, l’articolo sarebbe stato identico”.
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