Svizzera
Abortì durante il rinvio: famiglia chiede risarcimento
Foto Shutterstock
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Keystone-ats
3 anni fa
La vicenda, avvenuta nel 2014, riguarda una giovane donna siriana. L’udienza pubblica si tiene oggi al Tribunale amministrativo federale

Una donna siriana, che abortì durante un rinvio in Italia nell’estate del 2014, ha presentato assieme al marito e ai tre figli una richiesta di risarcimento al Dipartimento federale delle finanze (Dff). Oggi davanti al Tribunale amministrativo federale (Taf) di San Gallo si tiene un’udienza pubblica.

Il Dff ha respinto tale richiesta nel gennaio 2021. Ha giustificato la sua decisione affermando che sebbene le guardie di confine non abbiano agito correttamente in quel momento, il loro comportamento non è la ragione del presunto danno subito. Manca l’asserita causalità, presupposto per la richiesta di risarcimento. Il Dff non attribuisce nemmeno al comportamento delle guardie di confine i problemi psicologici della donna. Piuttosto sono dovuti all’evento traumatizzante dell’aborto spontaneo. Per tutti questi motivi il Dff ha rifiutato il risarcimento, come risulta dagli atti pubblicati dal Taf.

La coppia ha allora impugnato la decisione negativa del Dff davanti al Taf. A loro avviso, i problemi psichici sono una conseguenza della lesione personale inflitta alla donna in quelle circostanze traumatiche. Inoltre, anche il marito e i figli sono stati duramente colpiti da quell’evento. I coniugi affermano di aver subito una riduzione dell’assistenza finanziaria. Anziché in Germania, come previsto, hanno dovuto chiedere asilo in Italia.

Dolori aumentati
Il 4 luglio 2014, il marito e la moglie - allora 22enne e al settimo mese di gravidanza - assieme ai loro tre figli minorenni erano stati intercettati alla frontiera franco-svizzera mentre cercavano di raggiungere la Francia dall’Italia con altri 36 profughi. I doganieri francesi li consegnarono allora alle Guardie di confine svizzere per il rinvio in Italia, lo Stato dello Spazio Dublino dove i migranti avevano inoltrato la prima richiesta d’asilo

I migranti furono dapprima portati in bus a Briga (VS), dove arrivarono poco prima delle 14.30. Da lì avrebbero dovuto proseguire in treno fino a Domodossola. A causa della forte affluenza di passeggeri, il viaggio fu posticipato. I profughi vennero temporaneamente ospitati nei locali di controllo delle guardie di confine di Briga. Poco dopo l’arrivo in Vallese la donna iniziò ad avere dolori e sanguinamenti, che descrisse come doglie. Il marito sostiene di avere avvisato le guardie di confine e di avere ripetutamente chiesto di chiamare un medico, ma senza successo. A Domodossola la siriana ebbe un collasso. Le guardie di frontiera italiane chiamarono subito i soccorsi, ma una volta portata in ospedale, la donna ebbe l’aborto spontaneo.

Tre guardie di confine condannate
Ad inizio 2021, la giustizia militare ha condannato tre guardie di confine in relazione all’aborto spontaneo della donna siriana durante il rinvio in Italia. Secondo i giudici i tre avrebbero dovuto mostrare coraggio civile: sarebbe stato loro dovere chiamare un’ambulanza, anche contro la volontà del loro superiore. Con decreti di accusa i tre sono stati condannati in febbraio e marzo a 30 aliquote giornaliere da 100 a 200 franchi (da 3’000 a 6’000 franchi) ciascuno. Il capo delle tre guardie di confine, un sergente maggiore, era già stato condannato nel 2018. In appello, la pena detentiva per lesioni colpose e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio era stata ridotta a 150 aliquote giornaliere di 150 franchi con la condizionale.

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