Sport
È morto Nils Liedholm
Redazione
18 anni fa
Un ricordo del Barone scomparso a 85 anni: ha vinto 4 scudetti da giocatore, due da allenatore

Era il Milan che rialzava la testa dopo le brucianti retrocessioni in serie B: come diceva l’Avvocato Prisco, la prima volta pagando, la seconda gratis.Era il Milan di Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta, Evani e del povero Di Bartolomei. E poi era il Milan degli inglesi Hateley e Wilkins, arrivati nella città meneghina per far tornare grande i rossoneri.Ma era soprattutto il Milan di Liedholm, che arrivava dalla Roma dopo aver vinto uno scudetto e perso una finale di Coppa Campioni ai rigori contro il Liverpool. Una squadra fatta in casa, che stava imparando i nuovi dettami del tecnico svedese, che forse a Milanello aveva un po’ abusato del suo adagio preferito: “Se la palla l’abbiamo noi, non ce l’hanno gli altri”.E allora avanti, con un possesso palla a volte stucchevole: 30 passaggi ricamati a centrocampo per arrivare raramente a tirare in porta. Era il 1984 quando Liedholm allenava il Milan come si allena una squadra di ragazzi: un’esasperante applicazione tattica che faceva sbuffare la tribuna di San Siro, affamata di emozioni e vittorie.Ricordo ancora un Milan-Como 1-0 di una domenica pomeriggio primaverile, con gol di testa di Filippo Galli: possesso palla attorno all’80%, con i comaschi (in maglia blu) che non la prendevano mai, limitandosi a presidiare la propria area di rigore. Mille cross, con Hateley spesso strattonato, e una ventina di calci d’angolo. Una sterilità a dir poco angosciante. Il Milan, che non poteva rivaleggiare con la Juve di Platini, si barcamenava tra il 4. e il 5. posto, ma Liedholm non si preoccupava dei risultati, a lui interessava soprattutto insegnare calcio.Tre anni dopo, il Barone lasciò il Milan: per lui non c’era più posto, arrivò Berlusconi, smanioso di vincere a modo suo. Il Milan si trasformò in una macchina spettacolare: grande gioco e vittorie a grappoli. Di più era difficile pretendere. Nonostante tutto i giocatori del Milan che resistettero all’epurazione berlusconiana, ancora oggi considerano il periodo di Liedholm la palestra ideale che gli ha poi consentito loro di vincere tutti quei titoli.E sentirlo recentemente raccontare del modo in cui allena i suoi nipoti (“prima che qualche allenatoruncolo qualsiasi li possa rovinare”), ci regala forse la fotografia ideale di allenatore competente, amato e anche un po’ testardo.Uno che con la sua morte si porta via anche una gran fetta di ricordi di almeno due generazioni: peccato per la terza, quella più giovane, che non ha potuto vivere né capire fino in fondo chi fosse Liedholm. Il Barone.

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