
Desidero innanzitutto precisare che, come credente eterosessuale e sostenitore di una chiesa inclusiva, non nutro alcun sentimento ostile nei confronti delle persone LGBTQIA+, né metto in discussione la dignità di ogni essere umano, a prescindere dal suo orientamento. Il rispetto è alla base di ogni dialogo autentico e civile, ed è giusto che chi si sente emarginato trovi ascolto, anche e soprattutto nella Chiesa.
Tuttavia, credo sia altrettanto legittimo sollevare qualche perplessità quando iniziative come quella descritta, pur animate da buone intenzioni, assumono toni e modalità che rischiano di diventare più propagandistici che realmente inclusivi. Quando la Chiesa, luogo per eccellenza di spiritualità, preghiera e mistero, viene utilizzata come palcoscenico per battaglie ideologiche o sociali mascherate da veglia, si corre il rischio di trasformare l’apertura in strumentalizzazione a discapito del vero scopo ecumenico e devozionale.
Il vero dialogo non nasce da eventi simbolici a forte connotazione politica o culturale, ma da un confronto profondo e sincero, capace di rispettare anche chi, all’interno della Chiesa, ha sensibilità differenti. Promuovere l’inclusione non significa imporre una visione unilaterale, ma camminare insieme nel rispetto reciproco, anche nelle divergenze.
Concludo auspicando che il desiderio di costruire ponti non si traduca in nuove forme di divisione o forzature, ma in un reale percorso di ascolto e verità, dove la fede non si piega alla cultura del momento, ma continua a indicare una via universale e accogliente per tutti.
Graziano Besana, Lugano