Michel Venturelli
Unitas e accuse di abusi. Un silenzio inaccettabile
Redazione
un anno fa
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L’audit e le conclusioni tratte dal DSS certificano che la missione che si prefigge UNITAS è centrata. Unitas, nessuno lo contesta, è utilissima e funziona benissimo. Alla luce dell’audit però, viene anche da chiedersi se per funzionare così bene, l’associazione necessiti di essere diretta da personaggi i cui principi etici e morali, ma non solo, sono a dir poco opachi.

 

Non ne va unicamente della reputazione di UNITAS; se UNITAS non si libera di questi dirigenti, la cui integrità penale è oggi forse dovuta solo ai termini di prescrizione, anche l’immagine dell’associazione - un’isola dove ci si prende(va) spassionatamente cura di ciechi e ipovedenti - rischia di uscirne gravemente compromessa. E questo ha evidentemente delle conseguenze anche sul piano economico. Come non ricordare i danni subiti da Pro Juventute quando quelle verità che oggi conosciamo vennero a galla?

 

I primi ad essere preoccupati da questi aspetti della vicenda sembrano essere proprio quegli utenti e quei dipendenti che da marzo chiedono le dimissioni dell’intera dirigenza di Unitas.

Dimmissioni che, nell’ottica di quello che ci insegnano gli studi in vittimologia, sarebbero dovute.

 

Non ci darà torto Roberto Sandrinelli, attuale aggiunto alla direzione della divisione dell’azione sociale e delle famiglie (DAFS), per anni segretario della speciale commissione d’aiuto alle vittime. Sandrinelli sa che per aiutare le persone a “guarire” dalla propria vittimizzazione è imperativo riconoscerne lo status di vittima. Senza se e senza ma. In particolare, anche se banale è bene ribadirlo, le vittime non devono essere obbligate ad interloquire con chi le ha danneggiate. La tutela psico-fisica della vittima è quanto garantisce la legge federale di aiuto alle vittime.

 

Chi è una vittima? Che cos’è una molestia? Un pizzicotto al culo? Un commento a luci rosse? Nel caso di UNITAS, stando a quello che dicono le vittime, è capitato per decenni che chi necessitava di un sostegno - un cane guida, un appartamento, un biglietto del treno, … - doveva andare a chiederlo a SM che, prima di allargare i cordoni della borsa, ne approfittava a piene mani. O per lo meno ci provava. A parte la violenza fisica vera e propria, si registra una notevole dose di violenza psicologica.

 

Nel caso specifico, la persona che subisce la molestia è quella che fa la richiesta (a cui ha pure diritto) al “molestatore”, mentre chi le molestie le perpetra è la persona che detiene il potere di soddisfare o meno le necessità della vittima, perdipiù disabile. Non c’è bisogno di una specializzazione in vittimologia per capire che chi subisce comportamenti del genere, soprattutto sull’arco di decenni, possa sviluppare ansie e angosce di cui lo Stato in primis dovrebbe prendersi cura.

 

Nella vicenda Unitas, ci sono vittime che, tra le altre cose, accusano la dirigenza di gravi episodi di mobbing, di aver coperto molestie e altri probabili reati di natura sessuale per decenni.  E, da quanto si capisce, l’audit non smentisce queste accuse. Anzi!

 

Ed è questa stessa dirigenza che oggi dovrebbe rappresentare gli interessi delle proprie vittime di fronte a governo e popolazione.  Le vittime, si ritrovano spaesate e prese in giro. Prestandosi al gioco di Unitas, il DSS non ne tutela gli interessi come invece dovrebbe fare; anzi: riconoscendo come interlocutori diretti queste persone il Governo si schiera implicitamente dalla parte degli aggressori a danno delle vittime. Vittime che difficilmente possono sentirsi tutelate da una politica come quella adottata dal DSS. Soprattutto se a capo degli interlocutori del dipartimento c’è un alto funzionario che è stato per anni segretario della speciale commissione d’aiuto alle vittime.

 

Sembra superfluo sottolinearlo, ma visto cosa sta accadendo è bene ribadirlo: questo non è certo il genere di aiuto che le vittime si aspettano da parte delle autorità cantonali.

Michel Venturelli, criminologo

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