
La politica ticinese, sempre più spesso, sembra un grande deserto dei tartari: si aspetta qualcosa che non arriva mai, e nell’attesa ci si accontenta di proclami massimalisti, polemiche sterili e crociate simboliche. In mancanza di una visione concreta sul futuro del Cantone – scuola, lavoro, ambiente, giovani – ci si butta su temi semplici, da bar, che fanno rumore senza spostare davvero nulla. È una politica che galleggia, in cerca del titolo sui giornali o del post virale, più che di soluzioni strutturate. Ieri era il lupo, oggi lo smartphone, domani l’Unione Europea: il nemico del giorno è sempre pronto, serve solo cambiare locandina.
Ci tengo a dirlo, quella che segue è la mia opinione personale. All’interno del mio partito – i Verdi Liberali – esistono sensibilità diverse sul tema e un dibattito aperto. Io invece credo che vietare completamente lo smartphone a scuola non sia la risposta più efficace al disagio giovanile. Che gli smartphone abbiano un impatto sulla vita dei più giovani è fuori discussione. Che siano l’unico responsabile del disagio giovanile, francamente NO! Il malessere che tanti ragazzi vivono oggi nasce da un intreccio complesso di fattori: ci sono le pressioni scolastiche e familiari, insicurezze personali e sociali, la paura del futuro e le incertezze lavorative, la solitudine reale (non solo digitale), ma anche la mancanza di spazi di ascolto e dialogo, e spesso anche da modelli sociali irraggiungibili veicolati dagli adulti stessi proprio tramite i social media. Lo smartphone può diventare un amplificatore di tutto ciò, ma non è la causa originaria, perché l’algoritmo ci fa vedere solo quello che ci piace.
Eppure, eccoci di nuovo a parlare di divieti assoluti nel 2025. Questa volta è il Centro a lanciare una proposta popolare per vietare i telefoni a scuola a tutti i ragazzi sotto i 16 anni. Addirittura non si potrebbe nemmeno portarli da casa, zaino incluso. Proibito! Chissà chi controllerà …?
Curiosamente, la proposta è stata lanciata con un video… sui social, fatto con uno smartphone. E qui un sorriso scappa: vietiamo gli smartphone giovani, ma per dirvelo usiamo Instagram, con il volto simpatico e rassicurante di Giorgio Fonio – che stimo molto come politico, ma che in questo caso si è prestato a un paradosso perfetto. Sarebbe come proporre il divieto dei dolci girando lo spot dentro una pasticceria e mangiando la ciambella piena di cioccolato! Assurdo appunto!
Ma veniamo al merito. Perché dietro la semplicità del “vietiamo e tutto si risolve” si nasconde una realtà molto più complessa. Lo dicono anche gli studi scientifici più autorevoli, da Nature Human Behaviour al Journal of Adolescence: i divieti assoluti possono generare l’effetto opposto, aumentando l’attrattiva dell’oggetto proibito. Si chiama forbidden fruit effect, ed è lo stesso principio per cui, quando si vieta qualcosa in modo rigido, molti adolescenti si ingegnano per farlo di nascosto. E con maggiore intensità.
Inoltre, il DECS in Ticino ha già regolamentato l’uso dei dispositivi nelle scuole dal 2020: telefoni spenti e non visibili nell’intero perimetro scolastico, con la possibilità per ogni istituto (o docente) di applicare regole anche più severe. Di fatto, nelle scuole medie i telefoni stanno negli zaini o negli armadietti. Quindi: che cosa cambierebbe davvero con il divieto proposto dal Centro? Sembra più un’operazione di marketing che una vera misura educativa.
Lo smartphone può causare problemi, certo. Ma la scienza suggerisce che è il tipo di utilizzo a fare la differenza: l’uso passivo (scroll infinito) ha effetti più negativi rispetto all’uso attivo (chat, creazione, interazione sociale). E non dimentichiamolo: lo smartphone, usato consapevolmente, è anche un ponte verso il mondo. Per tanti giovani significa poter restare in contatto con amici e coetanei lontani, coltivare relazioni oltre i confini del proprio quartiere o paese. A differenza di quando ero ragazzo io – dove il mondo finiva in fondo alla strada – oggi una ragazza in Valle di Blenio può discutere di ecologia o arte con una sua coetanea di Roma, Berlino o Buenos Aires. Può imparare una lingua, trovare una community, scoprire che non è sola. Anche questo è crescita.
E proprio qui si apre un tema più interessante: vale forse la pena discutere seriamente di un divieto – o almeno di un accesso regolato – alle app che si basano esclusivamente sullo scroll infinito, come TikTok, Instagram Reels o simili, che sono progettate per stimolare un uso compulsivo (anche e soprattutto degli adulti)!
In Paesi come l’Australia, per esempio, si sta lavorando a soluzioni che limitino o vietino l’accesso a determinati social media sotto i 16 anni, attraverso sistemi di verifica dell’età obbligatoria e registrazione elettronica. E in attesa di soluzioni sistemiche, esiste già una misura concreta e disponibile: il controllo parentale, che permette ai genitori di bloccare l’uso di specifiche app sui dispositivi dei figli. È uno strumento poco utilizzato, ma molto efficace se integrato con un dialogo familiare aperto e continuo. Inoltre proprio ieri Meta (proprietaria di Instagram) ha annunciato nuove regole di sicurezza proprio per Instagram che rappresentano un importante passo avanti verso una socialità digitale più sicura per adolescenti e minori.
Infine, c’è una domanda che dovremmo porci con onestà: vogliamo davvero tutelare i giovani o semplicemente sentirci meglio con un divieto simbolico? Perché vietare lo smartphone a scuola, senza affrontare quello che succede fuori – nella solitudine delle camerette, nel silenzio degli adulti, nell’assenza di educazione digitale – rischia di essere solo un’illusione di controllo per darci la pacca sulle spalle e prendersi i voti alle prossime elezioni.
E allora sì, cari promotori della proposta: mettiamo pure un like al vostro video social che farà tante visualizzazioni. Ma per risolvere davvero i problemi dei ragazzi, ci vuole molto più di un hashtag anti-smartphone e forse sarebbe il caso di chiedere ai diretti interessati cosa ne pensano prima no ?
Stefano Dias