Stefano Dias
Smartphone: divieto assoluto? Un falso rimedio
©Chiara Zocchetti
©Chiara Zocchetti
Redazione
5 giorni fa
Il presente contributo è l’opinione personale di chi lo ha redatto e non impegna la linea editoriale di Ticinonews.ch. I contributi vengono pubblicati in ordine di ricezione. La redazione si riserva la facoltà di non pubblicare un contenuto o di rimuoverlo in un secondo tempo. In particolare, non verranno pubblicati testi anonimi, incomprensibili o giudicati lesivi. I contributi sono da inviare a [email protected] con tutti i dati che permettano anche l’eventuale verifica dell’attendibilità.

Negli ultimi giorni il dibattito sugli smartphone a scuola si è riacceso e oggi è stata presentata un’iniziativa popolare dal titolo eloquente: “Smartphone: a scuola no!”. L’obiettivo dichiarato è trasformare in legge vincolante ciò che finora era solo una direttiva dipartimentale, estendendo il divieto a tutte le scuole dell’obbligo: dall’infanzia alle elementari fino alle scuole medie. L’idea è semplice: niente telefoni negli istituti scolastici, dal mattino fino al termine delle lezioni, in modo che non siano disponibili né in classe, né durante le pause, né al termine della scuola.

I promotori sostengono che l’uso spasmodico dei cellulari in età precoce provochi disturbi dell’attenzione, difficoltà di concentrazione e ostacoli alla socializzazione. Argomentazioni che trovano eco anche in alcuni studi scientifici e nelle osservazioni dei pediatri. A queste preoccupazioni si aggiungono ora dati di portata mondiale: uno studio pubblicato nel luglio 2025 sulla rivista scientifica Journal of Human Development and Capabilities, basato su oltre due milioni di individui in 163 paesi, conferma con chiarezza gli effetti negativi di un possesso precoce dello smartphone. I giovani che hanno ricevuto il primo dispositivo a 12 anni o prima mostrano oggi sintomi di aggressività, pensieri suicidari, distacco dalla realtà, difficoltà nel controllo delle emozioni e bassa autostima. Non si tratta più solo di percezioni o aneddoti, ma di dati oggettivi.

Il problema però, spiegano i ricercatori, non è lo smartphone in sé, ma l’accesso illimitato e precoce ai social network, con algoritmi che amplificano contenuti nocivi, alimentano confronti tossici e compromettono attività fondamentali come il sonno e le relazioni dirette. Eppure, nonostante la forza di queste evidenze, la strada scelta dall’iniziativa in Ticino resta la più drastica: il divieto assoluto. Un approccio che nessun altro cantone svizzero ha adottato. A Zurigo, Lucerna, Berna e San Gallo le restrizioni esistono, ma sono proporzionate; nei cantoni romandi, come Vaud e Ginevra, si punta soprattutto all’educazione digitale.

Proprio la ricerca scientifica suggerisce un approccio diverso da quello del divieto totale. Gli studiosi invitano a rafforzare i programmi di educazione digitale e di salute mentale, a introdurre limiti di età più chiari e realmente applicati per l’uso dei social, e a rendere le aziende tecnologiche responsabili dei danni che i loro prodotti causano, come già avviene con alcol e tabacco. Propongono inoltre di favorire soluzioni intermedie, come telefoni semplificati per i più piccoli, che permettano solo chiamate e messaggi. Non si tratta quindi di dire semplicemente “vietato”, ma di costruire regole e strumenti che preparino i ragazzi ad affrontare in modo consapevole e sicuro il mondo digitale in cui vivranno. Vietare, invece, rischia di diventare un paternalismo fine a sé stesso.

Vietare non significa educare, significa sostituirsi alle famiglie e agli insegnanti, trattando i cittadini come incapaci di autoregolarsi. È un approccio che richiama un modello patriarcale di “padre padrone”, dove lo Stato decide dall’alto cosa sia giusto o sbagliato, punendo e vietando invece di accompagnare e responsabilizzare. Come ha sottolineato Ilario Lodi in un’intervista al Corriere del Ticino, il divieto assoluto equivale a una resa educativa: significa ammettere che non siamo in grado di formare i giovani, preferendo semplicemente proibire.

Ci sono poi i problemi concreti e pratici: chi controllerà ogni mattina che nessuno porti lo smartphone a scuola? Gli insegnanti dovranno trasformarsi in guardiani, con il rischio di minare i rapporti di fiducia con famiglie e studenti. E ancora: è giusto penalizzare i genitori che educano responsabilmente i propri figli all’uso equilibrato della tecnologia, imponendo loro lo stesso divieto valido per chi invece non lo fa? Non si tratta solo di un’ingerenza nelle scelte educative delle famiglie, ma anche di una restrizione diretta della libertà personale dei ragazzi stessi.

In questo quadro, non va dimenticato che il DECS sta già lavorando in una direzione costruttiva. Negli ultimi mesi ha intensificato i progetti di promozione del benessere digitale, con l’obiettivo di rafforzare l’educazione all’uso consapevole, sicuro e responsabile delle nuove tecnologie, costruendo un patto con le famiglie e garantendo che la scuola resti un luogo di socializzazione e scambio umano. Dopo un’analisi delle esperienze nelle 36 sedi delle scuole medie, il Dipartimento ha presentato l’intenzione di estendere e adattare le regole anche alle scuole comunali, in stretta collaborazione con autorità scolastiche, genitori e insegnanti, con un orizzonte di implementazione già fissato per l’autunno 2025.

Introdurre ora un divieto assoluto, in questo contesto, non solo rischia di contraddire e vanificare questo percorso educativo, ma scarica tutto il peso sulle famiglie. Perché una volta che i ragazzi – specie i più grandi – saranno in cameretta, lontani dallo sguardo di docenti e genitori, chi li controllerà se non sono stati educati a gestire responsabilmente lo strumento? Un divieto imposto dall’alto non li prepara alla vita reale, ma li lascia soli, senza strumenti, in balia di algoritmi progettati per manipolarli, quelli si il vero problema da combattere.

Il Ticino non può permettersi di diventare il cantone del divieto assoluto. Sarebbe un errore educativo, culturale e politico. La vera domanda non è come vietare i telefoni, ma come insegnare ai giovani (e non solo) a usarli bene, costruendo regole intelligenti, programmi educativi solidi e un’alleanza scuola-famiglie che dia strumenti concreti ai ragazzi per affrontare il mondo digitale. E una nota finale non può mancare: c’è un paradosso difficile da ignorare. Mentre propongono di bandire i cellulari dalle scuole, i promotori di questa iniziativa inondano i social media di fotografie, video e contenuti personali per sostenerla. Un po’ come combattere il fumo con la sigaretta accesa in mano: è dall’esempio degli adulti che inizia l’educazione.

I tag di questo articolo