Adam Barbato-Shoufani
Servizio civile contro la militarizzazione della società: sostegno al referendum!
Redazione
18 giorni fa
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Quella per il diritto all’obiezione di coscienza è una delle lotte più importanti che il movimento antimilitarista svizzero ha portato avanti dal secondo dopoguerra a oggi. È la conquista del diritto di avere un’alternativa che consenta ai giovani di mettersi al servizio della collettività senza dover imbracciare un fucile.

Allo stesso tempo, la difesa di questo diritto è parte integrante della difesa della neutralità svizzera: una neutralità oggi sempre più minacciata dalle pressioni dell’Unione Europea e della NATO, che cercano di trascinare anche il nostro Paese nella loro logica di riarmo e contrapposizione militare ai paesi emergenti.

Una conquista tanto importante quanto fragile, che ormai da anni subisce i duri colpi delle politiche di una parte della nostra classe dirigente, accecata dalla volontà di militarizzare la società seguendo l’esempio delle politiche guerrafondaie di UE e NATO.

Nei paesi europei a noi limitrofi il percorso di questa militarizzazione è ben chiaro: si comincia con la paradossale retorica della sicurezza che si può ottenere solo con il riarmo, si rafforza il potere finanziario, militare e politico dell’esercito e si spingono i giovani a confluire in massa in questa istituzione con le più svariate misure. In Svizzera tale processo è già visibile non solo nelle preoccupanti parole del nostro capo dell’esercito, Thomas Süssli, che mesi fa proponeva di mandare 200 soldati svizzeri in Ucraina, ma anche, e soprattutto, nella lista di misure con cui il nostro governo intende disincentivare la scelta del Servizio civile.

Una lista contro la quale la Federazione per il servizio civile, Civiva, ha recentemente lanciato un referendum che, come Gioventù Comunista, sosteniamo e promuoviamo. Il sostegno della Gioventù Comunista è non solo morale, ma anche strategico, nella difesa di coloro che vogliamo difendere: i giovani del nostro Paese. La militarizzazione della società ci colpisce infatti su più fronti, proseguendo una lunga serie di misure economiche e politiche che già penalizzano i giovani. L’accrescimento forzato di un esercito già sovradimensionato richiederebbe inevitabilmente ulteriori spese governative, e coloro a cui verrebbero svuotate le tasche saranno, come sempre, gli studenti — come già accade regolarmente ogni volta che la maggioranza borghese del governo deve riaggiustare le finanze del Cantone e del Paese.

Ma il problema non è solo economico: è anche umano e sociale. Le proposte formulate rappresentano un evidente schiaffo alla volontà dei giovani. Se abbiamo un esercito “dissanguato” (una retorica fallace dato che il numero di civilisti non mina affatto il numero di effettivi necessari)  nel numero di nuove reclute, sarebbe allora il caso di riflettere sulle cause effettive di tale condizione — fra le quali rientrano i regolari abusi di ufficiali, troppo spesso insabbiati in una totale mancanza di trasparenza, la struttura di controllo gerarchico che incide negativamente sul benessere psicofisico delle reclute, e molte altre ancora.

Per raccogliere l’evidente volontà dei giovani di non essere integrati in un sistema abusante come quello del nostro esercito, esistono due modi razionali di agire: il primo è quello di rafforzare il Servizio civile, ampliando e radicando sul territorio i servizi che i civilisti possono offrire e migliorandone le condizioni di lavoro; il secondo è lavorare per un cambiamento strutturale e profondo del nostro esercito, che persegua una sua riforma democratica, una formazione degli ufficiali più attenta alle sensibilità dei giovani e una più ampia trasparenza nei processi giuridici in caso di controversie.

Eppure, invece di affrontare questi problemi, il nostro governo propone misure che vanno nella direzione opposta, aumentando l’altezza di quel tappeto sotto cui da tempo si nascondono i problemi strutturali del nostro esercito e delle dinamiche sociali al suo interno. Questa deriva non nasce nel vuoto: è il riflesso diretto delle logiche di potenza promosse da UE e NATO, che spingono verso un riarmo generalizzato in nome di una falsa sicurezza collettiva. Procedere verso una forzata militarizzazione dei giovani, seguendo le assurde politiche di riarmo di UE e NATO, rischia di farci cadere nello stesso abisso guerrafondaio che oggi minaccia di trascinare l’Europa in un conflitto globale.

In questo senso, coloro che affermano che tale processo sia spinto da una non meglio definita “difesa della patria” o dagli “interessi nazionali” si coprono di ridicolo. Dobbiamo infatti constatare con amarezza come il nostro esercito stia ormai da anni subendo un processo di asservimento alla NATO e all’UE, i cui propositi, sia storicamente sia attualmente, sono tutto fuorché pacifici o difensivi. Già oggi abbiamo soldati svizzeri che prendono ordini da organi dell’Alleanza Atlantica come la KFOR in Kosovo, per non parlare poi del “Warkeeping” in Ucraina, travestito da “Peacekeeping”, proposto da Süssli.

Tale asservimento, se dovesse tradursi in una vera e propria integrazione del nostro Paese all’interno di forze imperialiste come la NATO, rischierebbe di trasformare le nuove reclute tanto volute dal nostro governo in carne da macello da mandare al fronte, in un futuro che potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo.

Chi oggi dipinge la militarizzazione della società come un mezzo per difendere l’indipendenza del Paese da una non meglio definita forza nemica esterna o per perseguire gli interessi nazionali mente: la sovranità nazionale si difende con la neutralità di fronte alle alleanze straniere, dalla quale discende la sovranità popolare. Solo una Svizzera realmente neutrale, non subordinata ad alleanze militari, può garantire che le sue scelte — anche in materia di difesa — rispondano alla volontà del popolo e non a interessi stranieri.

Ed è proprio la sovranità popolare che dovrà dare una risposta decisa contro lo smantellamento del Servizio civile che il nostro governo vuole sciaguratamente intraprendere. Per questo la Gioventù Comunista sarà in prima linea nella campagna referendaria, per difendere il diritto al Servizio civile e per proseguire la lotta antimilitarista che da sempre ci appartiene. Vogliamo una Svizzera che investa nei giovani, nella solidarietà e nella cooperazione civile, non nell’industria delle armi.

Adam Barbato-Shoufani, coordinatore della Gioventù Comunista

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