
Gli interventi medici irreversibili finalizzati alla transizione di genere non dovrebbero più essere praticati su minorenni, e la somministrazione dei bloccanti della pubertà andrebbe limitata a studi clinici controllati. Con questa richiesta alla Confederazione, la Consigliera di Stato zurighese Natalie Rickli si è posta nei giorni scorsi in prima fila, nel movimento che da tempo invita le autorità svizzere a un ripensamento delle loro politiche in questo delicatissimo ambito.
Più interessante ancora, è che la direttrice del Dipartimento cantonale della sanità ha emanato anche una serie di istruzioni per gli ospedali e le cliniche zurighesi che trattano la «disforia di genere». L’invito è a non eseguire interventi chirurgici di riassegnazione del sesso su minorenni: qualora l'operazione venisse comunque presa in considerazione, in futuro dovrà essere consultato un comitato di indicazione interdisciplinare. L’obiettivo di questo organismo è di prevenire «misure mediche premature» e sarà presto obbligatorio. In questo modo, ha detto la Consigliera di Stato, Zurigo diventerà un Cantone «pioniere a livello svizzero nella protezione dei minori».
Che dire? Va riconosciuta la chiarezza d’intenti con cui Natalie Rickli ha scelto di affrontare la questione, soprattutto se si confrontano le misure annunciate a Zurigo con l’impostazione, discutibile, finora adottata dal Consiglio di Stato ticinese e da altri Cantoni. In Ticino sembra ancora influente una certa tendenza culturale che ha portato, già da alcuni anni, realtà come il Cantone Vaud ad adottare il cosiddetto modello «affermativo» – un approccio sempre più oggetto di critiche in ambito scientifico – fondato sull’autodeterminazione di genere anche in età minorile, senza un’adeguata considerazione delle dimensioni biologiche e delle conseguenze a lungo termine.
Nella sua recentissima risposta a un’interrogazione presentata da me e da Fiorenzo Dadò – che sollecitava un cambiamento di rotta simile a quello ora intrapreso dal Cantone di Zurigo – il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la delicatezza del tema, ha scelto di non intervenire, precisando che la responsabilità delle decisioni terapeutiche ricade esclusivamente sul singolo medico curante. Questa linea, adottata non solo in Ticino ma anche nel resto della Svizzera – con la significativa eccezione ora di Zurigo – mantiene invariato lo stato attuale delle cose, nonostante il preoccupante incremento di interventi medici irreversibili, anche su minorenni. Una tendenza oltremodo preoccupante.
Le recenti decisioni assunte dal Cantone di Zurigo lasciano intravedere che il cambiamento di rotta in atto a livello internazionale sta finalmente iniziando a farsi strada anche in Svizzera, con la speranza che possa presto interessare anche il Ticino. Un segnale importante è arrivato lo scorso aprile dal Regno Unito, dove una sentenza della Corte suprema ha riaffermato, con chiarezza, che esistono due sessi biologici – un principio che sembrava essere stato offuscato dal dibattito ideologico degli ultimi anni. Ma prendere atto del cambiamento in corso è solo il primo passo: resta ora il compito più urgente e delicato, quello di interrompere pratiche mediche irreversibili su minorenni.
Giuseppe Cotti, deputato in Gran Consiglio per il Centro