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Marco Chiesa - Coronavirus e frontiere. Domani è tardi
Foto Tatiana Scolari
Foto Tatiana Scolari
Redazione
4 anni fa

*Odierna presa di posizione di Marco Chiesa agli Stati

Giovedì 20 febbraio Mattia si presenta all’Ospedale di Codogno. Il 38enne risulta essere positivo al test COVID19, è grave ed è immediatamente sottoposto alla terapia intensiva in prognosi riservata con insufficienza respiratoria. Così inizia la storia italiana del Covid19. Il 23 febbraio il governo italiano corre ai ripari, impone l’isolamento di dieci comuni nel Lodigiano mentre già il 25 febbraio estende i provvedimenti governativi a 6 regioni, tra cui la Lombardia, con disposizioni relative a scuole, musei, uffici giudiziari, telelavoro e si sospendono le attività sportive.

Proprio quel martedì 25 febbraio ecco apparire il primo caso in Ticino. Il virus si propaga velocemente. Potete immaginare l’apprensione dei miei concittadini mentre assistevano alla crescita esponenziale dei casi in Lombardia, proprio sull’uscio di casa, e al parallelamente al costante flusso di più di 70’000 persone prevenienti ogni giorno da questi territori.

Noi ticinesi non siamo dei veggenti, né più ne meno degli svizzeri tedeschi e degli svizzeri francesi, ma a sud delle Alpi abbiamo capito immediatamente che la situazione era esplosiva. Nei giorni seguenti, mentre le cose precipitavano drammaticamente, nella notte tra il 7 e l’8 marzo, il Presidente Conte emana un nuovo decreto. 16 milioni di persone sono messe in quarantena e si vieta ogni spostamento da e per i territori soggetti a restrizione, nonché all’interno dei territori stessi.

Tutti sono in grado di essere professori a giochi fatti, questo è evidente, ma non posso e non voglio nascondere che il mio sentimento e quello di una grandissima parte dei ticinesi è stato quello che la chiusura delle frontiere ha avuto luogo troppo tardi. L’atto parlamentare che stiamo trattando è figlio di questa frustrazione.

A mio avviso la mobilità tra l’Italia e la Svizzera doveva essere stoppata immediatamente permettendo ai soli frontalieri sistemici di poter accedere la nostro territorio. Questo ci avrebbe risparmiato quel fiato corto che abbiamo vissuto nei giorni seguenti. Siamo arrivati al limite delle nostre capacità sanitarie e solo un comportamento esemplare da parte della nostra popolazione ci ha evitato di perdere la dignità. Parlo di dignità perché in Italia mentre i nostri ospedali si riempivano di persone infettate e intubate, a qualche chilometro di distanza il personale medico era costretto a scegliere chi curare e chi lasciar morire senza ospedalizzazione e senza cure.

Preannuncio il ritiro di questa mozione, oggi è svuotata di senso e mi auguro che non ritorni mai d’attualità, ma prima di farlo era per me importante condividere con voi e col Consiglio federale quale è stato il nostro stato d’animo durante quei concitati giorni e quali conseguenze abbiamo dovuto affrontare. Con questo intervento non intendo trovare un colpevole ma esprimere una critica fattuale affinché alla fine dell’esercizio si possa capire ciò che è stato benfatto e ciò che avrebbe dovuto essere fatto meglio.

Marco Chiesa
Consigliere agli Stati

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