Lorenzo Quadri
Kaiseraugst 50 anni dopo
©Chiara Zocchetti
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Redazione
4 giorni fa
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Nel 2025 ricorre il cinquantesimo anniversario delle manifestazioni contro la realizzazione della centrale di nucleare di Kaiseraugst. Quell’occupazione di 11 settimane, che vide la partecipazione di migliaia di attivisti, segnò una svolta nella politica energetica svizzera. Il progetto fu abbandonato, così come quello di Graben. Ma fu davvero una vittoria? La situazione attuale suggerisce il contrario. Il fabbisogno energetico cresce costantemente, complice l’elettrificazione dei trasporti, la digitalizzazione e l’aumento della popolazione, cresciuta del 24% negli ultimi vent’anni. Come ha dichiarato il ministro Albert Rösti alla NZZ: “Attorno al 2050 dovremo spegnere le centrali di Gösgen e Leibstadt. Se non si interviene pesantemente sul territorio, non sarà possibile compensarne la produzione con fonti energetiche rinnovabili”.

Associazioni ambientaliste prime responsabili

Proprio qui nasce il cortocircuito. Da una parte si spinge per le zero emissioni, ma dall’altra si bloccano impianti eolici, fotovoltaici ed idroelettrici per opposizioni ambientali e paesaggistiche. Le associazioni ambientaliste, con i loro ricorsi, sono le prime responsabili. Un paradosso, considerando che questi stessi gruppi invocano la svolta verde ideologica.

Altri quattro impianti d’emergenza entro il 2030

Nel frattempo, si ricorre a soluzioni temporanee. La Germania, dopo aver spento le ultime centrali atomiche nel 2023, ha compensato con il gas. Anche la Svizzera ha costruito centrali d’emergenza alimentate da combustibili fossili. Secondo il DATEC, serviranno altri quattro impianti entro il 2030, per una potenza totale di oltre 500 megawatt. Se si chiuderanno anche i due reattori di Beznau, il fabbisogno salirà a 1’400 megawatt.

Rientrare nel nucleare

Nel 2011, la Germania decise l’uscita dal nucleare sull’onda emotiva di Fukushima. La Svizzera ha commesso lo stesso errore. E ci costerà caro. Se cinquant’anni fa l’impianto di Kaiseraugst fosse stato realizzato (e se non avessimo spento quello di Mühleberg a fine 2019), oggi non dovremmo costruire centrali d’emergenza a gas che producono CO₂ e costano un sacco di soldi. La soluzione è una sola: rientrare nel nucleare. Perché è ovvio che aumentare le importazioni di corrente, e quindi la nostra dipendenza dall’UE per questo bene strategico, non è un’opzione.

Lorenzo Quadri, consigliere nazionale Lega dei Ticinesi

 

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