Andrea Guglielmetti
Io sono il tuo padrone.
Redazione
un anno fa
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È corretto affermare che il datore di lavoro di uomini e donne impiegati dello Stato, in quanto pagati con le imposte, siano tutti i Ticinesi (e a questo punto anche i frontalieri)? Può il popolo, con un voto, disporre dei loro stipendi, pensioni, del loro futuro? È giusto così? E gli statali, pagando le imposte, diventano forse datori di lavoro di sé stessi? Facciamo ordine.

Che differenza c’è tra un l’amministrazione pubblica e una ditta privata?

Entrambe elargiscono prestazioni. Il privato però fattura direttamente al cliente (cittadino) la sua prestazione mentre l’amministrazione (comuni, cantoni, confederazione) fattura indirettamente, tramite le imposte. Le prestazioni dello Stato sono servizi che non tutti potrebbero permettersi; se fossimo costretti a dare ai nostri figli tutte le mattine i soldi per la maestra, metà dei bambini dovrebbero rinunciare all’educazione. È per questo che si parla di Stato sociale. Tutti noi beneficiamo di servizi, ogni giorno, quando usiamo le strade per andare al lavoro, i bambini a scuola, i malati in ospedale, quando percepiamo sussidi o l’AVS. Riceviamo prestazioni esattamente come quelle che ci fornisce il commesso, il meccanico che ci ripara l’auto o l’idraulico che ci aggiusta il rubinetto. L’unica differenza è che le prestazioni dello Stato le paghiamo in base al reddito, in modo che tutti possano beneficiarne, perché sono prestazioni indispensabili, di cui non potremmo fare a meno. È per questo che non si possono privatizzare tutti i servizi dello Stato. Alla stessa stregua non possiamo considerarci i datori di lavoro di tutti coloro a cui paghiamo un conto, e chiedere a Migros e Coop di tagliare i salari delle cassiere o le loro pensioni per compensare il rincaro degli alimentari. Eppure qualcuno è convinto che il si possa disporre delle vite di persone che non sono state elette, ma che hanno fatto un regolare concorso per essere assunte. Il 28 maggio 1933 il popolo Svizzero fu chiamato ad esprimersi sul taglio del 7,5% dei salari dei dipendenti della Confederazione. Erano tempi difficili, subito dopo la grande crisi del ‘29. La gente accorse in massa alle urne (80, 5% di partecipazione) e bocciò i tagli con il 55,1% di no. In Ticino votò il 70% della popolazione e respinse i tagli con il 61,9%. Cosa indusse gli Svizzeri a respingere i tagli in un momento in cui poteva sembrare ragionevole risparmiare? La Confederazione sopravvisse alla crisi, e oggi siamo uno dei paesi più ricchi al mondo.

Andrea Guglielmetti, Vacallo

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