Maria Pia Ambrosetti
Identità digitale e social scoring: la Svizzera a un bivio?
Redazione
2 giorni fa
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Il 28 settembre 2025 i cittadini svizzeri saranno chiamati a esprimersi sull’identità digitale (ID-e). In apparenza si tratta di un semplice documento elettronico, una comodità per semplificare l’accesso ai servizi pubblici. Ma in realtà, la posta in gioco è ben più alta: la definizione del rapporto tra cittadini, Stato e tecnologia per i decenni a venire.

Mentre Berna rassicura che l’ID-e sarà facoltativa, sicura e sotto controllo statale, la stessa Confederazione, attraverso la fondazione TA-SWISS, finanzia uno studio sui sistemi di social scoring. Non per implementarli direttamente, ma per analizzarne rischi e implicazioni. Il semplice fatto che con denaro pubblico si esplori la possibilità di classificare i cittadini secondo comportamenti e dati, pone interrogativi profondi.

La filosofia politica ci insegna che la libertà non viene mai sottratta in un solo colpo, ma limitata a piccoli passi, spesso sotto la veste del progresso o della sicurezza. Johan Rochel, ricercatore coinvolto nello studio menzionato, ha avvertito che i sistemi di valutazione sociale possono introdursi “attraverso la logica dei progetti pilota”. È un avvertimento prezioso: ciò che oggi appare come sperimentazione neutrale, domani può diventare pratica diffusa.

Non è un fenomeno nuovo. In Cina, il sistema di credito sociale è stato introdotto inizialmente come strumento per monitorare affidabilità finanziaria e comportamenti civici, ma in pochi anni si è trasformato in un meccanismo di controllo pervasivo, in cui ogni gesto – un pagamento in ritardo, una critica al governo, un amico “sbagliato” – può influire sull’accesso a viaggi, prestiti o opportunità di lavoro.

È legittimo chiedersi: la Svizzera, nel suo percorso di digitalizzazione, ha strumenti giuridici sufficienti per impedire che una logica simile prenda piede, magari in forma subdola?

Non vanno dimenticati coloro che rischiano di pagare il prezzo più alto di questa trasformazione: anzitutto gli anziani, spesso meno avvezzi al digitale, che si troverebbero costretti a delegare ad altri la gestione della loro identità, con il rischio di dipendenza e perdita di autonomia; anche le persone con fragilità economiche, sociali o psicologiche potrebbero subire un’ulteriore esclusione: senza accesso fluido al digitale, rischiano di rimanere tagliati fuori da servizi fondamentali.

Paradossalmente, uno strumento pensato per “semplificare” rischia di diventare per molti una gabbia invisibile, da cui non è più possibile uscire. Una volta che l’identità digitale diventa necessaria per accedere a banca, trasporti, sanità o persino per la raccolta firme o per le votazioni, chi non la possiede rischia di non esistere più agli occhi delle istituzioni.

Qui sta la questione filosofica di fondo: quanto siamo disposti a barattare la nostra libertà per la comodità? Ogni clic che ci evita una fila allo sportello (o alle casse dei supermercati!), ogni login che semplifica un pagamento, ha un prezzo: la progressiva concentrazione dei nostri dati in infrastrutture digitali.

La difficoltà principale, tuttavia, resta l’accesso alle informazioni. Pochi sanno che studi sul social scoring sono in corso in Svizzera, finanziati con fondi pubblici. I media ne parlano poco o nulla, e il dibattito pubblico resta superficiale. È legittimo che i cittadini si sentano disorientati o sospettosi: come si può votare consapevolmente se non si è pienamente informati? La vera forza di una democrazia sta nella capacità di confrontarsi apertamente anche sui temi più controversi.

Il 28 settembre, gli svizzeri non voteranno su un semplice strumento tecnico. Voteranno su un modello di società: da una parte, una Svizzera libera e democratica, con strumenti che restano al servizio dei cittadini e non viceversa; dall’altra, uno Stato sempre più pervasivo, in cui l’identità digitale diventa la chiave che apre o chiude ogni porta della vita quotidiana.

È una scelta che segnerà tutti, ma soprattutto chi non ha voce, gli anziani e i fragili. Per loro, e per le generazioni future, è fondamentale non farsi imprigionare in una gabbia dorata fatta di clic e di comodità apparente. Per questo voterò NO all’ID-e il 28 settembre!

Maria Pia Ambrosetti

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