Mauro Stanga
I Mori delle Processioni e le tradizioni (che per fortuna cambiano)
Redazione
un mese fa
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“S’è sempru fai inscì!” hanno tuonato gli strenui difensori delle “nostre tradizioni” a proposito della proposta di rinunciare alla sfilata di personaggi con la faccia dipinta di nero alle processioni di Mendrisio. Erano tanto scandalizzati e convinti che quasi veniva da pensare che avessero ragione, per lo meno sull’immutabilità di quella pratica. E invece no, ed è la Storia a smentirli, per mezzo di un vecchio articolo pubblicato nel 1953 sul “Giornale del Popolo”. Una “recensione” scritta da Pio Ortelli sulle processioni storiche di Mendrisio di quell’anno. Lasciamo parlare l’autore: “Alcuni bambini da me intervistati hanno dichiarato che i figuranti a cavallo che più li hanno colpiti sono stati i quattro mori. Effettivamente erano splendidi: neri come la pece (non tinteggiati alla bell’e meglio come qualche volta accadeva prima), belle teste, due anelli alle orecchie, uno per ciascuna, e un anello al naso. Quasi troppi anelli; a me sembra che l’anello al naso disturbi la grazia africana degli altri due; ma mi guarderei bene di proporre agli ordinatori di toglierlo, quello al naso, perché si eliminerebbe un motivo di meraviglia per i piccoli”.

Ohibò. L’attento cronista di allora testimonia dunque che nel 1953 i mori portavano un terzo anello al naso, nel frattempo – e per fortuna – sparito. L’anello al naso (a volte associato anche a una sveglia al collo) era un osceno simbolo coloniale, molto diffuso nelle caricature razziste di allora, in cui gli uomini di colore venivano rappresentati come selvaggi ingenui da raggirare e sottomettere. Non so dire quando sia successo, ma evidentemente, dopo il 1953, a Mendrisio qualcuno dotato di buon senso si è reso conto che l’anello al naso veicolava un pessimo messaggio e ha deciso di toglierlo, lasciando solo i due alle orecchie. Ci sarà stata una levata di scudi anche allora? Qualcuno avrà urlato “S’è sempru fai inscì!” in difesa delle “nostre tradizioni”? Poco importa, perché il risultato è che i personaggi dei mori sono stati adattati, levando quel particolare volgare, eredità di ignoranze passate.

Tornando alla cronaca di Pio Ortelli, lo stupore dei bambini verso i mori mi ha ricordato un aneddoto che mi raccontava mio papà. Quando era bambino, a Roveredo, un giorno arrivò, dopo un’attesa durata giorni, un furgone che pubblicizzava una marca di cioccolato. L’attrazione vera però non erano le tavolette in vendita (che in pochi potevano permettersi) bensì l’annunciata presenza di due uomini di colore, fatti scendere dal furgone ed esibiti alla popolazione.

Non se ne erano mai visti, a Roveredo, e mio papà rimase stupito proprio come i bambini di Mendrisio nel ’53 di fronte ai mori dipinti con l’anello al naso. Solo che, a differenza degli odierni difensori delle “nostre tradizioni”, mio papà col senno di poi l’aveva capito da solo, che non era né giusto né dignitoso, portare in giro degli esseri umani per esporli alla curiosità della gente radunata apposta nelle piazze.

E il ricordo dei suoi “L’era pé miga normàl!” (non ha mai abbandonato il dialetto di Roveredo, nemmeno dopo decenni di vita nel Mendrisiotto) mi pare molto più assennato e decoroso degli scomposti “S’è sempru fai inscì!” dei giovani conservatori di oggi.

Mauro Stanga, Balerna

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