
La decisione di FFS Cargo di chiudere i terminal di Cadenazzo e Lugano è stata motivata da cifre in rosso e strategie aziendali. Ma al di là dei comunicati, ciò che si profila è un arretramento strutturale della Svizzera nella politica di trasferimento modale. In un momento in cui la crisi climatica impone soluzioni logistiche sostenibili, rinunciare all’asse est-ovest del traffico ferroviario combinato significa per il Cantone Ticino riportare centinaia di container su strada, con effetti tangibili su CO₂, traffico e qualità dell’aria, tanto in Ticino quanto nel Nord Italia.
La chiusura isolerà il Sopraceneri dai circuiti intermodali efficienti e costringerà le imprese a riversarsi sul terminal di Stabio o a ricorrere a centri italiani come Novara o Busto Arsizio, aggravando il carico transfrontaliero su gomma. Questo significa più camion lungo la A2 e sulla statale del Lago Maggiore, più emissioni, più rumore, più congestione.
Le emissioni per TEU del trasporto su gomma sono almeno tre volte superiori rispetto alla ferrovia. Inoltre, la strada genera oltre l’80% dei costi ambientali legati al traffico merci.
Tutto questo accade mentre l’UE e la Svizzera cercano di rafforzare il Green Deal e le politiche per la neutralità climatica: una contraddizione strategica, e un segnale preoccupante.
Il Ticino rischia di diventare anello debole nella catena logistica alpina, non solo economicamente ma anche come regione cerniera tra Svizzera e Italia.
La logistica sostenibile non è un lusso ma una condizione di resilienza. Ignorarla ora, per meri calcoli di breve termine, è miope. Occorre pensare a soluzioni transnazionali condivise, incentivare i poli intermodali di confine e rimettere il clima tra le priorità del trasporto. Anche in Ticino.
Niccolò Salvioni, membro LEA