
“Abbiamo visto in classe che gli stranieri sono importanti per la popolazione del Cantone Ticino. Perché?” Un insegnante formula questa domanda in una verifica. La risposta dell’allieva o dell’allievo è: “Preferisco non rispondere a questa domanda. Saranno importanti per vari motivi. Ma io resto dell’idea che non lo sono.”
L’episodio è oggetto di un’interrogazione parlamentare di un deputato che, recuperando la fotografia di quel quarto di pagina, pubblicata dal padre del ragazzino sui social, formula domande al Governo, ritenendo il quesito “poco opportuno e tendenzioso, scorretto e politicamente schierato.”
Si chiede se questa non sia “propaganda immigrazionista”. Tra le ombre di questo caso, che ha mosso per qualche ora le rabbie di un centinaio di persone attente a quel che si dice nei social, ci sono aspetti da vanno messi in evidenza.
Una prima considerazione riguarda la scelta, da parte del genitore, di pubblicare il test con la risposta del figlio sui social: non sappiamo se tra allievo e docente ci sia stato dialogo, discussione, in merito al tema, ma possiamo supporre che il genitore abbia, prima di rendere pubblico il caso, incontrato l’insegnante, chiamato a lavorare un’istituzione attenta, tra le altre cose, a formare il pensiero critico dei futuri cittadini. Mi chiedo quali siano le sensazioni del ragazzo, che si è visto il proprio lavoro pubblicamente esposto.
Ho maturato esperienze in ambito mediatico, proponendo spesso agli allievi di presentare libri (anche libri che parlano di migranti) in TV, formulando considerazioni, opinioni.
In ogni occasione la questione è delicata: oltre all’accordo dei genitori, va curato il dialogo con la ragazza, il ragazzo, che si espone. A questi giovani ho sempre spiegato che per presentarsi pubblicamente occorre prepararsi, investire tempo, impegnarsi, perché quei documenti rimangono nel tempo, come testimonianza anche dei valori che i testi presentati assumono.
Nel caso del test di geografia, attorno al quale si sono espresse persone che ignorano completamente la realtà della scuola di oggi, andrebbe ricordato al giovane che la sua risposta è lacunosa, perché non c’è alcuna argomentazione. Mi spiego: gli allievi devono essere liberi di confutare la tesi secondo la quale “stranieri sono importanti per il Cantone Ticino”, ma devono imparare, grazie alla sensibilità dell’insegnante, a sostenere la propria opinione con dati, letture, approfondimenti.
Esporre il proprio figlio, mostrando in questo frangente particolare le sue fragilità, è una scelta coraggiosa. Veniamo al punto di vista di chi insegna: forse la domanda potrebbe essere posta diversamente, completata con dei riferimenti bibliografici, ma le parole hanno comunque un peso. Cosa significa “abbiamo visto in classe”? Vuol dire che nel percorso didattico sono stati letti dei documenti, con dati oggettivi? Quali dati? Non lo sappiamo.
Ecco perché recuperare da quella fotografia il senso dell’insegnamento e dell’apprendimento, giudicando addirittura in un atto parlamentare il lavoro di un docente, mi sembra pericoloso, perché si rischia di banalizzare i compiti della Scuola. Cosa significa “stranieri”? Straniero significa estraneo.
Estraneo a che cosa? Al sangue svizzero? Al sangue ticinese? Quando uno straniero non è più tale? Gli stranieri sono coloro che hanno costruito le vie di comunicazione? Sono gli operai di Alpransit? E soprattutto, cosa significa “importanti” riferito a “stranieri”? La parola “importante” significa “portare dentro”.
Il Cantone Ticino e la Svizzera si “portano dentro” e si sono “portati dentro” molti stranieri che sono per taluni ricchezza, per altri un problema (o l’occasione per acquisire consenso e potere), tanto che il dibattito politico attuale si accende proprio su questi temi. Mi sembra un dato oggettivo. A me pare ci siano abbastanza elementi per portare dubbi, discussioni, approfondimenti in classe, per evitare gli slogan e per andare aldilà della banalità.
A settembre inizierò la lettura, con gli allievi di quarta media, del “Fondo del sacco” di Plinio Martini, dove si parla di emigranti, di politica e religione, di terra e persone. La scelta non è neutra e richiede preparazione. L’opera è diventata una lettura scenica prodotta dal Teatro Sociale, per la quale ho lavorato con Margherita Saltamacchia. Porterò i ragazzi a teatro e voglio far conoscere testi della letteratura svizzera. In un’ipotesi di lavoro ho pensato anche ad una domanda da porre agli allievi, alla fine del progetto, che preparerò nel mese di luglio. Eccola, la domanda:
Cari allievi, vi chiedo di commentare e contestualizzare la frase di Max Frisch, autore che abbiamo conosciuto in questi mesi di approfondimento: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini.”
Puoi esprimere il tuo pensiero utilizzando i testi letti, citando dei dati (ricorda l’importanza delle fonti), argomentando. Ricordati le regole: puoi confutare, costruire il pensiero, devi rispettare l’esistenza di altre tesi, non puoi insultare, aggredire, non puoi sostenere violenza e sopruso. Sono sicuro che nessun parlamentare avrà l’opportunità di scrivere un’interrogazione. Se invece dovessi essere smentito, la mia reazione sarà quella di chi si batte per una scuola che sappia resistere ai cretini.
Daniele Dell'Agnola
Docente SUPSI, scrittore
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