
A seguito della discussione avvenuta nell’ultimo Consiglio Comunale, in cui la sottoscritta ha chiesto – purtroppo senza successo – che il nuovo Regolamento cimiteriale venisse rinviato alla Commissione Petizioni per un ulteriore esame, desidero condividere alcune riflessioni che ritengo fondamentali. Perché ciò che è in gioco non è solo una revisione normativa, ma il modo in cui una comunità custodisce la propria memoria e onora i propri defunti. Nel dibattito sul nuovo regolamento cimiteriale, proposto a seguito delle aggregazioni comunali, emergono di fatto criticità che non si limitano agli aspetti tecnici o tariffari. In gioco c’è qualcosa di più profondo: la memoria storica delle comunità, la dignità del lutto e – soprattutto – la sacralità dei luoghi deputati alla sepoltura.
I cimiteri non sono solo spazi funzionali dove avviene la deposizione dei defunti. Nella storia delle civiltà, essi sono sempre stati luoghi simbolici, carichi di significati spirituali, culturali e identitari. Sono i custodi silenziosi di ciò che lega i vivi ai morti, i presenti alle generazioni passate. Ogni lapide, ogni nome inciso, ogni fotografia è un frammento di un racconto più ampio: quello di un villaggio, di una famiglia, di un popolo. È attraverso questi segni che si costruisce la coscienza di appartenere a un luogo.
Il nuovo regolamento, pur nato con l’intento dichiarato di armonizzare la gestione post-aggregazioni, rischia di minacciare proprio questo patrimonio immateriale. Nelle valli più isolate, come in Val Colla, l’effetto delle nuove norme – combinate allo spopolamento e alla mancanza di eredi – sarà quello di uno svuotamento progressivo dei cimiteri. Le concessioni scadute verranno chiuse d’ufficio, le lapidi rimosse, gli spazi lasciati vuoti. Ma ciò che sparirà non saranno solo i corpi: a essere cancellata sarà la presenza simbolica e spirituale dei morti nella vita delle comunità. Questo processo, già in atto in molte regioni alpine e periferiche, non può essere considerato una semplice questione gestionale. È un fenomeno di desertificazione culturale, in cui scompare la funzione più profonda del cimitero: essere luogo di legame, di raccoglimento, di spiritualità. Perché la morte, in tutte le culture, è sempre stata qualcosa di sacro. E i luoghi dove si onorano i defunti sono stati – e dovrebbero restare – spazi carichi di rispetto, silenzio, memoria.
Preoccupa, in questo senso, anche l’eccesso di burocrazia in alcune disposizioni del regolamento. Come l’obbligo di posare targa e cordoli entro 15 giorni dal funerale. Un termine che, sulla carta, garantisce ordine e decoro. Ma nella realtà rischia di trasformarsi in una pressione ingiusta su famiglie che vivono un lutto. La morte, per chi la subisce, non è mai un evento amministrativo. È uno sconvolgimento interiore, un tempo sospeso che richiede rispetto, delicatezza, flessibilità. Similmente, il divieto assoluto per i familiari di accedere ai locali tecnici dove avviene la vestizione delle salme solleva dubbi profondi. Per molti, poter salutare il proprio caro, accompagnarlo nei gesti del congedo, anche solo con una presenza silenziosa, è parte integrante del rito. Escludere ogni forma di partecipazione non è solo una scelta organizzativa: è una rottura del legame affettivo e spirituale tra i vivi e i morti. E questo – in una società che si definisce civile – non può essere ignorato.
A questi temi si aggiungono poi questioni di equità economica: gli aumenti nei limiti tariffari per tombe, famedi, esumazioni, e altri servizi, sono stati proposti senza uno studio d’impatto economico. In assenza di trasparenza, analisi comparative o valutazioni sul peso sociale delle tariffe, questi aumenti rischiano di colpire soprattutto le famiglie più fragili, trasformando la sepoltura in un costo insostenibile. Anche questo è un modo, indiretto ma concreto, per escludere i più vulnerabili dal diritto a un congedo dignitoso. Non si tratta di opporsi al cambiamento o alla modernizzazione della gestione cimiteriale. Ma di ricordare che ci sono ambiti in cui l’efficienza amministrativa deve farsi da parte, per lasciare spazio alla memoria, alla pietà, al senso del sacro. I cimiteri sono parte integrante del tessuto storico e spirituale delle nostre comunità. Non sono "vuoti urbani" da razionalizzare: sono luoghi della coscienza collettiva, dove passato e presente continuano a parlarsi, anche in silenzio. Difendere questi spazi, con regole sì, ma anche con intelligenza culturale e sensibilità umana, significa riconoscere che la memoria è un bene comune. E che anche nell’organizzazione dei servizi più delicati – come quelli legati alla morte – serve uno sguardo lungo, attento, profondamente umano.
Sara Beretta Piccoli - Verde Liberale - Consigliera Comunale a Lugano e Deputata in Gran Consiglio Repubblica e Cantone Ticino