La presunzione d’innocenza è questo concetto giuridico fermo, la cui percezione popolare è però a geometria variabile. Accade infatti che, per determinate vicende sembri cozzare con la logica e la verità fattuale, tant’è che vale sia in flagranza di reato – ossia quando si viene colti con le mani nel sacco -, sia in casi in cui il reo è confesso, sia in casi in cui le evidenze risultino palesi.
Questa presunzione non perde però il suo valore giuridico. La giustizia formale, si realizza anche e soprattutto attenendosi e assoggettandosi alle regole di diritto, che nello Stato di Diritto, devono valere per tutti, governati e governanti. Quindi, fino ad una condanna cresciuta in giudicato, ossia divenuta definitiva, il soggetto incriminato è da considerare innocente.
Appare però ovvio che, la vita reale, non si svolge nei tribunali o nelle università. Se alla stampa, oltre che essere concesso, viene attribuito il sacrosanto diritto e compito di indagare seppur attenendosi a fatti verificati o verificabili, su vicende che riguardano personaggi pubblici, l’opinione pubblica ha il diritto di formarsi i suoi convincimenti, anche in base ai suoi preconcetti o alle sue ideologie.
Date queste premesse, appare purtroppo chiaro che il Magrebino o il disperato di turno che viene arrestato con l’accusa di furto o di molestie, non godrà mai dei favori dell’opinione pubblica, mentre su altre vicende l’opinione pubblica si dividerà tra colpevolisti ed innocentisti, anche al di là della ragionevolezza e della logica.
Nel caso delle cariche politiche, non si tratta qui di disquisire se tutti abbiano diritto a sbagliare e a rimediare ai propri errori, cosa che peraltro credo fermamente, ma si tratta della capacità di ammetterli sottoponendosi al giudizio dell’elettorato. Tutto ciò, quanto più ci si dichiari vicini al popolo e alla gente. Ammettere i propri errori genera istintivamente simpatia e tolleranza nei confronti di chi li ha commessi, non averne la capacità solitamente suscita il contrario, ma ovviamente ognuno è libero di agire –all’interno della legalità - come meglio crede.
Diffido comunque di chi troppo spesso usa e promulga l’uso del pugno di ferro, perché poi spesso, per sé stesso esige il guanto di velluto.
E ho imparato a diffidare di quei politici che invocano regole sempre più severe, poiché quando lo fanno, solitamente hanno in mente che la loro applicazione non avrà a riguardarli.
Lo Stato di Diritto, è quella meravigliosa istituzione che trae origini dalla Rivoluzione francese, e che fa si che solo la Legge regolamenti la convivenza civile, assoggettandovi tutti, governati e governanti inclusi, senza distinzione. Permettere che ci si comporti differentemente, o non fare di tutto perché i Cittadini non debbano avere dubbi sul rispetto di questo principio, mina senza ombra di dubbio la già scarsa fiducia nelle istituzioni e nella Democrazia stessa, e fa sorgere il dubbio che queste spallate alle istituzioni democratiche abbiano carattere intenzionale.
Marco Antonio Timbal, candidato al Consiglio comunale di Lugano per Costituzione Radicale