Sem Genini
Allevamento intensivo: mirare a pochi, colpirci tutti
Redazione
2 anni fa
Il presente contributo è l’opinione personale di chi lo ha redatto e non impegna la linea editoriale di Ticinonews.ch. I contributi vengono pubblicati in ordine di ricezione. La redazione si riserva la facoltà di non pubblicare un contenuto o di rimuoverlo in un secondo tempo. In particolare, non verranno pubblicati testi anonimi, incomprensibili o giudicati lesivi. I contributi sono da inviare a [email protected] con tutti i dati che permettano anche l’eventuale verifica dell’attendibilità.

Gli iniziativisti rassicurano: solo il 5% delle aziende agricole svizzere sarebbe interessato dall'iniziativa sull’allevamento intensivo in votazione il prossimo 25 settembre (ed almeno il 90% di quelle estere per quel che concerne le importazioni, aggiungiamo noi). Significa forse che, nel loro tentativo di presentare l’iniziativa come moderata, stanno relativizzando il loro stesso allarmismo sull’ampiezza del problema in Svizzera? In realtà la loro è la tipica affermazione a effetto narcotico, da ripetere come un mantra in una situazione ben descritta da un poeta inglese: aggrapparsi ai numeri come fanno gli ubriachi con i lampioni, non per illuminarsi ma per trovare sostegno ai propri barcollamenti.

Tutte le aziende agricole dovrebbero sottostare alle nuove norme, questo significa che, nell’ipotesi meno peggiore, quel 95% di aziende virtuose attive nell’allevamento sarebbero le vittime di un’iniziativa malamente calibrata, imprecisa e dannosa per tutti noi, consumatori compresi.

Vogliono dunque iscrivere un articolo nella Costituzione federale e lo ripeto, nella Costituzione federale, per correggere il modo di lavorare di solo il 5% delle aziende agricole?

Delle 45'363 aziende agricole svizzere ad allevare bestiame è il 71%, ovvero 35'000 circa. Di queste, 13'120 allevano pollame e 5'600 suini. Soprattutto per queste due ultime categorie ci vorrebbero dei grandissimi stravolgimenti strutturali e finanziari per poter soddisfare pienamente i requisiti minimi che l’iniziativa vuole fissare. Allora quel 5% fa riferimento solo a chi pratica l’allevamento e quindi si assottiglia ancora di più al 3,5% del totale complessivo?

Gli iniziativisti possono dire di mirare solo a quel fantomatico 5% di “allevamenti intensivi”, ma quello che ci chiedono di usare è un cannone caricato a mitraglia. Necessario, come abbiamo visto, perché il loro bersaglio è ben definito ma tutt’altro che ben spiegato. Infatti mirano a diminuire notevolmente il numero di animali da reddito nel nostro Paese, così come ad imporci una dieta alimentare ben precisa. E chi pensa che sarebbero solo gli agricoltori svizzeri ad esserne colpiti, si ricordi che le stesse norme, già oggi estremamente soffocanti in un Paese all’avanguardia mondiale per quanto riguarda il benessere dei suoi animali da reddito, verrebbero imposte alle importazioni. Qualcosa che però non sarà mai possibile, a causa degli obblighi internazionali della Svizzera nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Sono invece certe le conseguenze di un'eventuale accettazione di questa iniziativa: diminuzione della produzione nazionale e regionale, notevole aumento dei prezzi per importanti generi alimentari, delle importazioni e del turismo degli acquisti oltre frontiera e perdita di posti di lavoro, come dimostrato da studi indipendenti.

A ciò che non ci potremo più permettere dovremo rinunciare, come la carne, il latte e le uova. E questo è quello che vogliono. Diciamo quindi NO il 25 settembre a questa dannosa iniziativa sull'allevamento intensivo. 

Sem Genini, segretario agricolo cantonale

I tag di questo articolo