
Sin dal mio primo intervento in questa campagna elettorale ho sottolineato come la mia discesa in campo abbia quale presupposto una visione della politica che nasce dal basso e al servizio per il bene comune. Una politica quindi del e per il popolo, i cittadini. Questo punto di partenza, a mio avviso fondamentale, è però forse il meno chiaro e il più strumentalizzato nella politica odierna, anche perché il significato vero di “popolo” oggi è spesso confuso con la semplificazione che va sotto il nome di populismo.
Il termine “popolare” dice la radice di popolo, definisce il protagonista della società e della storia e, in ultima analisi, della politica. Democrazia, dal greco, significa “governo del popolo”. “Popolare” è del resto un termine che appartiene, nel nome stesso e di fatto, al DNA del partito in cui io mi impegno. Di questi tempi, tuttavia, si è costretti a parlare sempre più anche di populismo, per dire la tentazione di usare il popolo e la sua sensibilità cavalcandone solo le emozioni e mai i veri diritti e bisogni. Essere populisti significa dire al popolo ciò che credi che in quel momento voglia sentire, per ottenerne il consenso immediato. Poco importa poi se quel che vuole sentirsi dire (o che si crede che esso vorrebbe sentirsi dire) corrisponde davvero a quello che, nel profondo, il popolo desidera, o domanda. E allora io penso che il politico serio di oggi debba essere popolare (e dunque non di casta, o d’interesse, o di fazione) ma non populista. Il politico serio, secondo me, deve ascoltare le domande vere, intercettare i bisogni autentici, le speranze e i timori del popolo: e per popolo intendo i cittadini, le donne e gli uomini, le categorie sociali e d’età, le culture, la società civile. Un politico deve, penso (e io cerco di impegnarmi nel mio piccolo in questo senso, sia nella mia attività a livello comunale, sia come candidata al Consiglio Nazionale) saper ascoltare e tradurre in progetti e prassi le esigenze autentiche delle persone; questa è la politica al servizio del bene comune.
Questa visione della politica che mi ha mosso sin dal primo giorno, la affermo con ancora maggiore convinzione oggi, avendo alle spalle queste settimane di campagna elettorale in cui ho potuto incontrare e ascoltare moltissime persone, dentro e fuori il mio partito. Mi sono confrontata con la gente, da Chiasso ad Airolo, con donne, uomini, giovani, anziani, ho ascoltato i loro problemi, ho sentito le loro speranze, ho discusso delle questioni che toccano la loro esperienza viva, non la teoria. La politica è al servizio di queste persone ed è chiamata a rispondere a preoccupazioni e aspettative.
Papa Francesco davanti al Congresso Americano, riprendendo le parole di San Matteo (“fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te”), ha affermato che “questa norma ci indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità che cerchiamo per noi stessi. Aiutiamo gli altri a crescere, come vorremmo essere aiutati noi stessi. In una parola, se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi.”.
È con questa preoccupazione che guardo alle ormai prossime elezioni e al futuro della politica della Svizzera e del Ticino. O la politica è al servizio del popolo e del paese o diventa fine a se stessa e destinata a instaurare una lotta ideologica fra bene e male presunti, fra buoni e cattivi: cosa che, oltre a non essere costruttiva, non è nemmeno nella natura del nostro Paese federalista, liberale, sussidiario, laico e democratico.
Alice Croce-Mattei, Candidata PPD al Consiglio Nazionale.
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