
Ad un anno dalla sua morte, Milano celebra Oriana Fallaci con una mostra che ne ripercorre, attraverso immagini, appunti ed oggetti la vita. Promossa dal Ministero dei Beni Artistici e Culturali, in collaborazione con RCS MediaGroup, la mostra è visitabile a Palazzo Litta, in corso Magenta 24, fino al 18 novembre. L’entrata è gratuita. Per farci raccontare l’esposizione abbiamo intervistato Paolo Klun, che ha lavorato a stretto contatto con la giornalista negli ultimi quattro anni della sua vita. Un osservatorio privilegiato dunque, in grado di farci conoscere la Fallaci più privata e intima. Prova ne è che Klun, ad esempio, ha collaborato tra l’altro con la scrittrice alla traduzione in inglese del secondo volume della cosiddetta Trilogia “la Forza della Ragione” e l’ha affiancata spesso nel lavoro di stesura de “l’Apocalisse” quasi un quarto libro pubblicato immediatamente dopo “Oriana Fallaci intervista sé stessa”.Mi permetta inizialmente una curiosità voyeuristica. Di Oriana Fallaci era celebre un carattere assai spigoloso: è vero che le sue sfuriate facevano tremare i muri? “Sì, effettivamente le sue sfuriate erano leggendarie ma erano sempre motivate. Era una donna molto, molto esigente prima di tutto con sé stessa e di conseguenza si attendeva il massimo da tutti gli altri. Le simpatie ed antipatie erano immediate e spontanee. Capitava a volte che eleggesse qualcuno per un incarico, come è capitato a me oppure a Daniela Di Pace la sua fidata assistente a Milano. Non sempre il progetto funzionava, ma se superavi il suo muro di sfiducia ed ossessione per la privacy potevi godere di una donna burbera (come amava definirsi lei stessa), ma molto simpatica. Una grande cuoca e amica generosa nel donarsi e donare”. Lei l’ha conosciuta negli ultimi anni della sua vita, come viveva a New York? Conduceva ultimamente una vita molto ritirata per questioni di privacy e di sicurezza e anche per la sua malattia. Questo non vuol dire che vivesse da reclusa, proprio no. Usciva di tanto in tanto quando poteva contare della compagnia di qualcuno, ad esempio del nipote Edoardo. Con me ad esempio è stata a visitare mostre, a fare compere nelle librerie antiquarie - i libri antichi erano una sua passione - a cena nei ristoranti italiani e diverse volte a Ground Zero. Le sue abitudini però erano state molto brillanti: nella sua casa di Manhattan erano passati “tutti”, offriva cene e frequentava i suoi amici, come ad esempio Sean Connery, Sophia Loren, Danny Kaye. Con Franco Zeffirelli, toscano come lei c’era un grande legame. Negli ultimi anni aveva stretto un intenso rapporto di amicizia con l’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon che sentiva spessissimo al telefono. Si sentirono anche il giorno prima che Sharon fosse colpito dall’ictus. Era un legame davvero privilegiato. Come del resto lei ha avuto con tanti potenti della Terra nel corso della sua vita”. Amava raccontare degli incontri e dei personaggi che hanno caratterizzato la sua vita? “Sì, amava raccontare delle sue esperienze spesso a sera, dopo una intera giornata di lavoro trascorsa davanti alla macchina da scrivere per la stesura di un articolo, o la correzione delle sue bozze. Raccontava con partecipazione e una punta di orgoglio ma senza nostalgia, direi quasi con distacco professionale svelando spesso qualche retroscena di quanto poi abbiamo letto nei suoi celebri reportage o romanzi; era molto piacevole sentirla chiacchierare con quel suo accento fiorentino molto musicale. Era schietta e molto divertente. Ricordo momenti di grandi risate. E che altro faceva nel suo rifugio americano? “Chiedeva in continuazione notizie e materiale dall’Italia. Leggeva i quotidiani italiani giornalmente e ritagliava gli articoli che riteneva potessero essere interessanti per il suo lavoro. La televisione era sempre accesa sulle notizie. Si teneva informata. Scriveva. E telefonava”.
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