Magazine
Torna la teoria sulla fusione fredda
Redazione
16 anni fa
A distanza di venti anni dalla sua scoperta, la fusione fredda torna a far parlare di sé

A distanza di venti anni dalla sua scoperta, la fusione fredda torna a far parlare di sé.Al simposio dell'American Chemical Society dedicato a "New Energy Technology", tenutosi a Salt Lake City, è stata dichiarata l'effettiva efficacia del fenomeno.Ma vediamo cosa successe vent'anni or sono: in data 23 marzo 1989, Martin Fleischmann e Stanley Pons (nella foto, Pons a sinistra, Fleischmann a destra), chimici all'università dello Utah, comunicano la loro scoperta sulla fusione fredda durante una conferenza stampa.La notizia fa subito scalpore, questa è la prima volta che viene ipotizzata una produzione energetica pulita e a basso costo, attuabile anche in spazi ridotti tramite impianti di piccole dimensioni.La fusione fredda secondo i due chimici: sarebbe sufficiente immergere una barra di palladio (Pd) all'interno di una cella elettrolitica contenente acqua pesante (ovvero contenente molecole di deuterio anziché di idrogeno); a questo punto dal palladio stesso dovrebbe scaturire un eccesso di energia. Il nome fusione fredda nasce dal fatto che il processo avviene proprio grazie alla fusione dei nuclei di deuterio una volta che questi vengono catalizzati nel reticolo cristallino del palladio; e così si differenzia dalla fusione a temperature più che elevate.Nonostante le numerose presentazioni, né Fleischmann né Pons sono in grado di fornire gli elementi utili per ripetere l'esperimento da loro tanto decantato; viene poi ad aggiungersi la scoperta che i due chimici, nel dare la notizia, avrebbero scavalcato il Prof. Steven Jones, un loro collega con il quale avevano preso accordi di contemporaneità di pubblicazione. Inoltre centinaia di ricercatori provano ad attuare la fusione a freddo senza esiti positivi. E' subito polemica, il mondo accademico, il mondo scientifico e l'opinione pubblica sono in subbuglio: chi parla di illusione, chi sostiene che tale fenomeno è praticamente inesistente e, addirittura, chi parla di frode scientifica.Nonostante le polemiche, molti gruppi di ricerca in tutto il mondo tentano di riprodurre il fenomeno, giungendo anche ad esiti positivi. Tra questi vi è anche il gruppo di fisici e chimici italiani dell'Enea, guidati dal Prof. Franco Scaramuzzi. A questo punto il mondo scientifico si scinde in due fazioni: chi crede nella fusione fredda e nei suoi vantaggi e chi crede sia tutta una farsa.Nonostante gli esperimenti in questo senso si ripetono, i risultati sono sempre contrastanti. C'è chi riesce e chi, invece, no. Resta il fatto che in determinate circostanze si arrivi effettivamente alla liberazione di grosse quantità di energia; comunque la comunità scientifica non è ancora arrivata a stabilire se a produrre energia sia una reazione di tipo chimico oppure di tipo nucleare.Oggi, a distanza di vent'anni, l'annuncio della Dr.ssa Pamela Mosier-Boss, chimica del U.S. Navy's Space and Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego (California).La Dr.ssa Mosier-Boss annuncia al congresso di Salt Lake City, a nome suo e di altri ricercatori, di possedere le prove dell'esistenza della fusione fredda e che questa avvenga proprio grazie ad un processo di tipo nucleare.La ricercatrice spiega il procedimento da lei utilizzato: all'interno della cella elettrolitica vengono miscelati il deuterio ed il cloruro di palladio; gli elettrodi ad essa collegati sono costituiti da fili di nikel o di oro.A questo punto, osserva la ricercatrice, il fenomeno viene accompagnato da un eccesso di calore dovuto all'emissione di raggi X e dalla formazione di trizio (è un isotopo dell'idrogeno con un nucleo formato da un protone e due neutroni; in condizioni standard di pressione e temperatura il trizio forma un gas di molecole biatomiche); questo starebbe a significare l'avvenuta fusione del deuterio.Ora, sembra, ci sono le basi per giungere alla produzione energetica t

© Ticinonews.ch - Riproduzione riservata