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Roberto Vecchioni: "Chi l’ha detto che l’arte non si può mischiare?"
Redazione
16 anni fa
“All’età di sessantasei anni chiedi a te stesso qualcosa di più, chiedi a te stesso di fare qualcosa di diverso”

Sono queste le parole con cui Roberto Vecchioni introduce alla stampa il suo nuovo album dal titolo “In corus”, un disco dal vivo registrato in una chiesa di Spoleto, frutto di precedente tour realizzato in diverse cattedrali e luoghi sacri. “Per due anni sono stato in giro a suonare con Patrizio Fariselli e Paolino Dalla Porta, riproponendo i miei brani in chiave jazz, ma questa volta ci voleva qualcosa di davvero diverso. Ho sempre avuto la passione per la sinfonia, ma non sono mai stato capace di cantarla, così con il Maestro Beppe D’Onghia abbiamo deciso di mischiare i generi, le parole, i suoni, le melodie, la parlata, eliminando un po’ la forma soggettiva del cantautore”. “In questo disco parliamo dell’uomo, dei suoi limiti, dei suoi amore, delle sue sofferenze. Aristotele”, ha spiegato il professore, “diceva che c’era una netta divisione tra le arti, ma ha detto una grandissima stupidata, basti pensare all’opera o alla commedia musicale, dove vengono mischiate recitazione, canto, musica e molte altre forme d’arte. Certo mi sono chiesto cosa penseranno i critici specializzati in musica classica del mio lavoro, ma poi mi sono reso conto che ho fatto questo album senza retorica. Ho ripreso delle arie tristissime, recitando sopra delle parole d’amore, come nel caso di "La patetica" di Tchaikovsky e lì ti rendi conto di quanto cambiando le parole cambi completamente la valenza tra musica e significato. Le parole, il loro suono e ciò che evocano, sono in grado di togliere la patina oppressiva e dando un altro senso alla canzone”.Nell’album, oltre ad aver rivisitato Rakmaninof e Vivaldi, Vecchioni ha voluto fare un omaggio anche a Vittorio Gassman: “Ho reinterpretato il suo monologo ‘A dio’, e questo ha dato un ulteriore significato all’intero disco. Ispirandomi alle parole di Gassman”, ha aggiunto il cantautore, “mi è venuto da inserire nel disco anche tre miei brano mistici, che affrontano ognuno a modo loro, il tema della spiritualità e della morte come "Le rose blu", "La stazione di Zima" e "Viola d’inverno". Sono andato a riprendere anche "L’uomo che si gioca il cielo a dadi", non potevo invece fare a meno di inserire "Luci a San Siro", mentre con "Miledy" e "Voglio una donna" mi piaceva far notare che si può fare rock anche con i violini”. L’intero progetto è stato seguito da Maestro Beppe D’Onghia, compositore e musicista bolognese: “Il Maestro è un vero pazzoide, un professionista vero che è stato della mia stessa idea da subito, ovvero che non ci sono divisioni tra i generi. Ci siamo incontrati”, ha spiegato Vecchioni, “e mi ha raccontato alcune cose che mi hanno folgorato, ci siamo capiti dal principio”. “Difficilmente ho trovato artisti che dopo tanti anni riescono ancora ad emozionarsi nella stesso punto della stessa canzone ogni volta che la canta”, è intervenuto Beppe D’Onghia, “Una persona mi ha chiesto con chi avrei voluto sviluppare un progetto simile, e non ho avuto dubbi, ho da subito pensato a Roberto”. “Forse”, ha concluso Vecchioni, “quello che mi fa realizzare questo tipo di progetti con così tanta curiosità e passione, è che arrivato alla mia età posso fare tutti gli esperimenti musicali che voglio. Il piacere, di volta in volta, sta nel trovare sempre una nuova forma senza per cambiare i contenuti”.

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