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Joy Division: la storia troppo breve della band che cambiò gli anni '80
Joy Division: la storia troppo breve della band che cambiò gli anni '80
Joy Division: la storia troppo breve della band che cambiò gli anni '80
Redazione
6 anni fa
Un omaggio al genio di Ian Curtis ed una velata riflessione su quello che i giovani vivono oggi.

23 anni il primo, 2 anni la seconda: ecco per quanto esistettero Ian Curtis e Joy Division, di cui Curtis fu il frontman. Nell'immaginario collettivo abbiamo invece tutta la subcultura postpunk, la darkwave e tutto ciò che non è musica da radio ma che comunque milioni di persone ascoltano per il globo.

Ancora teenager, il giovane e appassionato di musica Ian scopre quel vizio che lo porterà al suicidio: l'abuso di farmaci.

Niente di fuori dal comune neanche alle nostre latitudini: pensiamo al cocktail di sciroppo per la tosse e Sprite cantato dai trapper italiani o ancora le pillole di Ritalin, un'anfetamina data ai ragazzi iperattivi che puntualmente rivendono per comprarsi le sigarette. A dovere di cronaca dovremmo citare anche lo xanax, una piaga che allieta le serate di molti giovani luganesi tanto da essere entrata nel linguaggio giovanile locale.

Questo uso smodato di farmaci porterà Ian nell'abisso. Abisso che, come se non fosse già sufficiente, fa comparire i primi sintomi di quella malattia chiamata epilessia. Ciò non lo fermerà a continuare con il suo stile di vita a base di barbiturici e droghe della farmacia, con depressione ed epilessia che cavalcheranno il suo malessere.

A soli 19 anni, Ian decide di sposarsi e nel 1979 nasce una figlia. 1979-1980 che sarà l'inizio, l'apice, l'agonia e per certi versi la fine di Curtis e dei Joy Division.

Spostiamoci sulla band, i Joy Division: nascerà dalla formazione dei Warsaw, che cambierà in seguito nome prendendo spunto dalla sezione di prigioniere adibite a prostitute presente nel campo di concentramento di Auschwitz.

Le canzoni della band sono seminali per tutto ciò che sarà l'underground giovanile negli anni '80: toni malicnonici, cupi, chitarre ben delineate, batteria semplice e contaminazioni elettroniche. Quello che ai più di allora era sfuggito era la natura di tale genio, che portò il 15 giugno del 1979 ad Unknown Pleasures: una disperata richiesta d'aiuto per lui, il capolavoro per tutti noi.

Arriva il successo, il tour incomincia ed Ian Curtis si ritrova a collezionare crisi epilettiche sui palchi di mezza europa. Successo, fama, famiglia, mal d'esistere ed il non poter sfogare tutto ciò sul palco senza cadere stramazzato, con la label che chiede di più. Con i fan che chiedono di più.

Una pressione dal mondo che richiude Ian Curtis nella depressione più nera, togliendogli tutte le ambizioni che un giovane a 23 anni dovrebbe avere.

Di questo periodo estremo esistono tanti bootleg: Vinili illegali venduti sotto banco, concerti dal vivo registrati clandestinamente che rientrano nel feticcio di molte collezioni di audiofili. Delle perle che contengono anche gli stop delle esibizioni dovuti all'amica epilessia, compagna che condividerà assieme ad un'amante l'escalation di Ian.

Se la musica era la sua fuga dal malessere, il chiedere un disperato aiuto, essa si tramutò nel nodo che strinse il suo collo il 18 maggio del 1980. Il riflettore si spense nella cucina di casa sua, e quello dei Joy Division il 18 Luglio dello stesso anno con Closer – il secondo ed ultimo capolavoro della veloce storia di Curtis e Division.

Il resto è storia: un nuovo genere musicale affermato da artisti come Cure, Cult, Spandau Ballet, Siouxie and the Banshes, i dark che pullulano le viuzzole delle cittadine, i membri supersiti dell'esperienza Joy Division che creeranno i New Order: e qui si dovrebbe aprire un altro capitolo sulla storia del rock.

Un omaggio al mai troppo compianto genio di Curtis ed una velata riflessione su quello che i giovani vivono oggi.

Maurizio P. Taiana

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